Articolo pubblicato per Linkiesta

Il Parlamento europeo popone di innalzare l’obiettivo di riduzione delle emissioni entro il 2030 dal 40% al 60% rispetto ai livelli del 1990. Una scelta che richiederà azioni immediate come interrompere la dipendenza da carbone e petrolio. Ma questa fonte di energia può dare una mano

L’8 ottobre il Parlamento Europeo ha proposto di innalzare l’obiettivo di riduzione delle emissioni per il 2030 dal 40 al 60% rispetto ai livelli del 1990. Una direzione ambiziosa che richiederà, qualora approvata dal Consiglio Europeo, azioni immediate e profonde.

La scienza ha già dimostrato che il cambiamento climatico è causato dalle attività umane che hanno riversato nell’atmosfera una quantità senza precedenti di gas serra, come anidride carbonica (CO2) e metano. Questi ultimi trattengono il calore impedendogli di fuoriuscire nello spazio, in maniera simile al vetro di una serra. Al fine di centrare gli obiettivi ambientali europei c’è quindi bisogno di una drastica e immediata riduzione delle emissioni di questi gas. Solo così, secondo gli scienziati, avremo qualche possibilità di evitare effetti irreversibili sul clima. Occorre agire ora. Da dove partire?

Come evidenziato dalla Figura 1, il settore energetico globale è oggi il maggior responsabile delle emissioni di gas serra. In Europa, la produzione di elettricità produce all’incirca il 35% delle emissioni totali. Occorrerebbe allora partire da qui, interrompendo il prima possibile la generazione di elettricità da fonti fossili (come il carbone e il petrolio, che rilasciano un elevato quantitativo di CO2 come scarto dei propri processi di produzione dell’energia elettrica), e puntando di più su fonti a minor impatto ambientale, come le rinnovabili (idrico, solare ed eolico) e il nucleare.

Figura 1

I limiti delle fonti rinnovabili

Lo sviluppo delle fonti rinnovabili quali eolico e solare è stato consistente negli ultimi anni, anche grazie ai progressi tecnologici che hanno garantito maggiore efficienza e minori costi. Tuttavia, per centrare gli obiettivi climatici, gli scenari sviluppati dall’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change, l’organizzazione dell’Onu che analizza il cambiamento climatico) evidenziano che un ruolo chiave dovrà essere giocato dall’energia nucleare, almeno nel breve-medio termine.

Infatti, le centrali nucleari si contraddistinguono per uno dei più bassi valori in termini di emissioni di CO2 nell’atmosfera. Se consideriamo l’impatto sull’ambiente di diverse fonti energetiche dalla costruzione dell’impianto, alla generazione di energia e allo smantellamento della struttura (il cosiddetto Life Cycle Assessment), notiamo che l’energia nucleare registra tra i valori di emissioni più bassi per unità di energia prodotta (Figura 2). Un impatto addirittura più contenuto di quello dell’energia solare.

Figura 2

Il nucleare presenta però un vantaggio considerevole: è in grado di fornire grandi quantità di energia in modo costante (24 ore su 24) e controllabile. Lo stesso possono fare anche le centrali idroelettriche e geotermiche, che però richiedono specifiche caratteristiche territoriali di cui non tutti i paesi dispongono. Nel caso dell’idroelettrico, è inoltre utile sottolineare che a oggi nei paesi più sviluppati i siti dal potenziale produttivo ed economico più alto sono stati per la maggior parte già utilizzati.

Un mercato dell’energia economicamente sostenibile

Per comprendere al meglio l’importanza del nucleare, occorre illustrare come è strutturata la domanda di elettricità, e di conseguenza la sua produzione, che la ricalca istante per istante per assicurare la stabilità della rete. Come si può vedere per la Germania dal grafico in Figura 3, la domanda varia notevolmente durante l’arco della giornata: tocca il minimo di notte, aumenta durante la giornata e di solito ha un picco prima di cena. È quindi possibile suddividere il consumo elettrico in due parti: un consumo costante presente in ogni ora della giornata (baseload) e uno solo negli orari di punta (peakload). Un andamento simile si evidenzierebbe per l’Italia: è stato preso l’esempio della Germania per la presenza dell’energia nucleare e di significative quantità di eolico e solare.

Figura 3

La maggior parte delle tecnologie che oggi forniscono il baseload sono centrali a combustibili fossili che dovranno essere man mano sostituite per centrare il target di riduzione delle emissioni. Verrebbe naturale pensare che fonti rinnovabili come eolico e solare possano rappresentare buoni sostituti. Puntare tutto su di esse, tuttavia, comporterebbe considerevoli difficoltà tecniche: essendo fonti variabili e scarsamente prevedibili (il vento non soffia sempre, di notte il sole non c’è e a volte il cielo è nuvoloso), andrebbero accompagnate da numerosi sistemi stoccaggio dell’energia e/o tecnologie complementari in grado di sopperire a un eventuale calo della produzione, in maniera rapida e senza produrre CO2. Tecnologie che a oggi esistono, ma non su vasta scala, e che, se disponibili, sarebbero costose da installare e utilizzare, almeno finché progressi tecnologici ed economie di scala contribuiscano a renderle più competitive. Un sistema energetico con un’alta quantità di energia rinnovabile variabile aumenterebbe considerevolmente i costi dell’energia per i singoli cittadini e le industrie.

Il caso per il nucleare

Qualora l’obiettivo sia quello di ridurre le emissioni, laddove grandi quantità di energia idroelettrica e geotermica non siano disponibili, il nucleare è dunque una delle soluzioni più efficienti per sostituire centrali a combustibili fossili nella produzione di energia adatta al baseload.

Il nucleare è efficiente per il raggiungimento degli obiettivi climatici, ma anche in termini di affidabilità dei sistemi energetici nazionali. L’energia nucleare garantisce una stabilità delle reti elettriche che difficilmente altri fonti rinnovabili riescono a offrire, e permette inoltre di ridurre la dipendenza di un dato paese dalle importazioni energetiche necessarie per soddisfare il proprio fabbisogno energetico (es. importazioni di energia elettrica da paesi confinanti, combustibili fossili da paesi terzi, etc.). Un argomento spesso dibattuto quando si parla di energia nucleare è lo smaltimento delle scorie. La tecnologia disponibile oggi, tuttavia, permette lo stoccaggio degli scarti in sicurezza, senza porre rischi per l’ambiente.

Il raggiungimento degli obiettivi climatici sarebbe teoricamente possibile anche senza ulteriori investimenti nell’energia nucleare. Tuttavia, escludere questa fonte energetica dall’equazione richiederebbe una mobilitazione di risorse molto più ingente. Se da qui al 2040 si decidesse di arrestare ogni investimento nel nucleare, occorrerebbe compensare la mancata produzione di energia elettrica con un quantitativo di energia eolica e solare pari a cinque volte la capacità totale installata negli ultimi 20 anni a livello globale. Un costo considerevolmente più alto di quello che si incorrerebbe, a parità di energia richiesta, sia nel potenziare i parchi nucleari già esistenti che nel costruirne di nuovi. Senza considerare i costi aggiuntivi di integrazione e di ridotta flessibilità dei sistemi elettrici discussi sopra.

Secondo stime della International Energy Agency (Iea), siamo già indietro: nel 2019 solo poco più di un terzo della nuova capacità nucleare annuale necessaria per raggiungere gli obiettivi climatici del 2040 è stata installata a livello globale. E i trend dei prossimi anni non sembrano particolarmente più promettenti, soprattutto nei paesi dell’Ocse. Il nucleare è, infatti, una fonte energetica che ha ripetutamente incontrato delle forti resistenze popolari nei paesi occidentali, Basti ricordare i tre referendum abrogativi italiani del 1987, e, più recentemente, il referendum abrogativo del 2011.Tutti referendum tenutisi poco dopo incidenti nucleari fuori dalla norma, come Chernobyl nel 1986 e Fukushima Daiichi nel 2011. Tuttavia, sono molteplici le voci autorevoli che guardano all’energia nucleare quale elemento indispensabile per una transizione energetica efficace. In un mondo caratterizzato da imperativi climatici sempre più urgenti, è forse giunto il momento di rivalutarla?

*L’articolo è stato scritto con il contributo di Luca Bertoni. Bresciano, classe 1997, studente all’università di Utrecht del MSc in Energy Science

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