Articolo pubblicato per HuffPost Italia

Sebbene il lockdown degli scorsi mesi ci abbia fatto sentire tutti simili davanti alla crisi, gli effetti della pandemia hanno dimostrato che le ripercussioni socio-economiche si stanno concentrando specialmente su alcune categorie della popolazione. Secondo numerosi studi (CaritasIstatOpenpolis) tra le principali vittime ci sono le donne.

Nonostante decenni di battaglie in favore della parità di genere, a oggi uomini e donne affrontano ancora situazioni molto differenti all’interno del mercato del lavoro, un divario che in inglese prende il nome di gender gap. Differenze che si concretizzano in una diversa retribuzione e un differente livello di occupazione.

La retribuzione

In Italia, i dati riguardanti il gender pay gap, ossia la differenza di retribuzione tra due lavoratori di pari grado ma di sesso diverso, potrebbero sembrare incoraggianti (l’Italia è terza da sinistra nella Figura 1). Infatti, il pay gap tra lavoratori e lavoratrici dipendenti si attesta intorno al 5,5%, ben al di sotto della media dei paesi Ocse (13,1%).

Purtroppo però, le limitate differenze di salario sono influenzate dai differenti tassi di occupazione. Le donne, infatti, tendono a lavorare meno degli uomini, in parte per una cultura che non incoraggia l’impiego femminile, in parte per i salari percepiti che, essendo tendenzialmente più bassi, rendono un’eventuale rinuncia al lavoro meno problematica: insomma, in caso di necessità, all’interno di un nucleo familiare la prima a rinunciare al lavoro è la donna. Ciò risulta determinante in un contesto come quello italiano, nel quale la conciliazione tra lavoro e famiglia è ancora molto difficile a causa della mancanza di politiche aziendali e pubbliche che la incentivino.

La conferma emerge dalle retribuzioni orarie in base al livello di istruzione (Figura 2): a parità di livello d’istruzione, le donne percepiscono salari sensibilmente inferiori – per le laureate, circa €3,50 all’ora in meno.

L’occupazione

Storicamente, le crisi economiche tendono a colpire più gli uomini che le donne: i primi sono infatti maggiormente impiegati nei settori più sensibili agli effetti di una recessione. Il Covid-19 ha invece avuto, per quanto riguarda l’occupazione, un impatto asimmetrico su uomini e donne. Tra i settori in cui più del 70% degli addetti sono donne, infatti, ci sono l’istruzione, il commercio al dettaglio, le attività turistiche, la sanità e l’assistenza sociale: si tratta di attività con frequenti contatti interpersonali, perciò soggette a un alto rischio di esposizione al virus o comunque particolarmente colpite dalle misure di contenimento.

Le differenze emergono in modo ancor più significativo guardando all’importanza del settore rispetto al totale del tessuto produttivo: i settori che comprendono attività non essenziali e che impiegano più donne che uomini appaiono economicamente più fragili e più sensibili a una contrazione interna dei consumi. Perciò, la sospensione dell’attività economica può avere avuto ricadute più pesanti sulle aziende attive in questi ambiti, con un effetto diretto sull’occupazione femminile.

L’altro aspetto rilevante nel post Covid è che le donne, in particolare quelle con stipendi più bassi e minore istruzione, tendono a lavorare nell’economia sommersa – “in nero” – più degli uomini, soprattutto in periodi di alta disoccupazione, risultando così più vulnerabili agli effetti di una crisi. Questo dato ha anche influenzato la loro possibilità di ricevere aiuti economici: non hanno infatti potuto accedere alle recenti politiche di sostegno al reddito (cassa integrazione e indennità Covid-19), mentre il reddito di emergenza (Rem) è stato insufficiente a coprire anche solo le spese familiari essenziali, dato che la cifra corrisposta è inferiore alle soglie di povertà assoluta.

Come costruire nuove prospettive per la parità di genere?

Il Covid-19 e il lockdown rischiano quindi di ampliare ulteriormente il già inaccettabile divario occupazionale tra uomini e donne poiché le attività più penalizzate dalla pandemia sono state quelle a impiego prevalentemente femminile. La chiusura delle scuole ha, inoltre, fatto sentire il proprio peso specialmente sulle donne madri, le quali, anche nel caso in cui stessero lavorando in smartworking al pari dei compagni, si sono comunque dovute occupare in maniera maggiore delle attività domestiche e della cura dei figli, a conferma che in Italia il lavoro delle donne è ancora considerato quello più facilmente sacrificabile in nome della cura della famiglia.

Perciò, dopo una pandemia che ha esacerbato le disparità di genere, sono ancora più necessari interventi rapidi e concreti per ridurre i divari di genere nel mondo del lavoro. Il Family Act, la cui legge-delega è attualmente in discussione al Senato, è un importante tassello nella costruzione di nuove prospettive per le donne madri italiane. Il Recovery Plan rappresenta, inoltre, un’occasione da non perdere per investire in una Next Generation a pari opportunità per tutte le donne italiane, madri e non.

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