Articolo pubblicato per Econopoly – Il Sole24ORE

Il 10 gennaio 2022, studentesse e studenti italiani di ogni ordine e grado si sono trovati a un anno e nove mesi di distanza dal DPCM che imponeva, a marzo 2020, la chiusura fisica degli istituti scolastici in tutta la penisola. Secondo un report di marzo 2021 condotto su otto capoluoghi di provincia, anche durante l’anno scolastico 2020/2021 le studentesse e gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado italiane hanno avuto la possibilità di frequentare in presenza un numero di giorni di molto inferiore a quanto dovuto. A fronte di un totale previsto di circa 200 giorni, gli studenti delle superiori di Napoli, ad esempio, sono andati a scuola in media solo 27 giorni, mentre quelli di Roma 80. Seguendo il dibattito degli ultimi giorni sull’opportunità o meno di tenere le scuole aperte, guidato soprattutto dalla rapida ed estesa diffusione della variante Omicron nel nostro paese, emergono vari fronti. La linea del governo, ribadita in conferenza stampa dal Presidente del Consiglio, è quella di continuare a garantire la didattica in presenza: “non ha senso chiudere la scuola prima di aver chiuso tutto il resto”, ha sottolineato Draghi il 10 gennaio. Al contempo alcune regioni, prime fra tutte la Campania, spingono per tornare – almeno momentaneamente – alla didattica a distanza.

Chi chiede di proseguire con la didattica da remoto ritiene che le scuole siano veicolo di diffusione del contagio, anche a causa della pressione che esercitano sul trasporto pubblico. È bene però fare chiarezza: non esiste, ad oggi, evidenza empirica che confermi in modo univoco questo timore. Gli studi sull’effetto della scuola sull’andamento dei contagi sono molteplici e mostrano risultati tuttora controversi, anche a causa della difficoltà di isolare il ruolo dell’ambiente scolastico in un contesto sociale nel quale tutti gli altri spazi – produttivi o ricreativi che siano – rimangono accessibili. Stando ad esempio all’ultimo documento dell’Istituto Superiore di Sanità italiano relativo alla scuola, datato 30 dicembre 2020, l’andamento dei contagi nelle scuole sembrerebbe riflettere le dinamiche che occorrono nella comunità esterna, con limitato impatto nel senso inverso.

Vi è invece unanimità scientifica nel riconoscere le profondissime conseguenze didattiche, psicologiche e sociali che la chiusura delle scuole ha causato dall’inizio della pandemia, e che continuerà a causare se non affiancata da adeguati interventi di accompagnamento. Ad oggi, una ragazza italiana nata nel 2003 si troverà alle spalle tre anni di scuola superiore su cinque contraddistinti, seppur a fasi alterne, dalla didattica a distanza. Nonostante l’evidente gravità della situazione, troppo spesso in questi due anni le decisioni politiche e il dibattito pubblico hanno dato l’impressione di trascurare il devastante impatto della chiusura delle scuole su un’intera generazione di studenti e studentesse. Se a inizio pandemia la Dad poteva rappresentare una misura necessaria e accettabile per tenere sotto controllo una situazione di emergenziale incertezza, l’evidenza dopo due anni mette in guardia sui rischi e sulle conseguenze di un sistema scolastico in “Dad semipermanente”, sicuramente non limitati solo alle molteplici criticità relative all’accudimento dei bambini e delle bambine.

Chi frequenta lezioni online, infatti, ha un rendimento significativamente peggiore rispetto ai compagni che seguono in presenza e porta con sé un ritardo nell’apprendimento che perdura nel tempo. E non sorprende che siano gli studenti più svantaggiati, sia in termini socio-economici che di risultati scolastici,. Inoltre, vi sono evidenze dei danni psicologici derivanti da due anni di ricorso intermittente alla didattica a distanza: nel nostro recente report, “La scuola in una stanza”, uscito in collaborazione con Renew Communication e FFIND, studenti e studentesse denunciano problemi di ansia e depressione, difficoltà a concentrarsi e scarsa motivazione. Altri studi confermano questi risultati e anche il New York Times ha raccolto evidenze e testimonianze sulle difficoltà psicologiche dei ragazzi, sottolineando aumenti del tasso di suicidi tra i giovani, della violenza scolastica, dei problemi comportamentali: chiudendo a lungo le scuole si è accettato, nel bilanciamento di interessi, di nuocere maggiormente ai bambini per proteggere gli adulti. Difficile sostenere che non si sia scelto di operare esattamente così quando, ancora oggi e a fronte dell’evidenza citata, leggiamo appelli per tardare il rientro in classe.

Inoltre, nel già citato report “La scuola in una stanza” vengono presentate ulteriori evidenze relative alle conseguenze sull’apprendimento e sulle disuguaglianze tra i gruppi socioeconomici, prendendo in considerazione un campione rappresentativo di matricole universitarie tra coloro che hanno trascorso gli ultimi mesi di scuola superiore in Dad. I risultati sono inquietanti: il 70% degli studenti del gruppo socioeconomico più basso ha lamentato la mancanza di una connessione a Internet affidabile, mentre il 23% non aveva a disposizione un dispositivo adeguato – valori decisamente superiori a quelli degli studenti provenienti da contesti più abbienti. Ed è proprio tra gli studenti che hanno seguito la Dad tramite tablet o cellulare che si concentrano le situazioni più preoccupanti: più della metà di loro segnala un peggioramento dell’andamento scolastico.

Il protrarsi della situazione pandemica fa supporre che la Dad non sarà superata a breve. Le norme che regolano il passaggio delle classi alla Dad in presenza di studenti positivi sono state allentate, ma resta il rischio che il diffondersi del contagio, accelerato dalla variante Omicron, porti a diffuse interruzioni della didattica in presenza. Non c’è più bisogno, a questo punto, di sottolineare l’urgenza di interventi sul fronte scolastico ma di definire, concretamente, cosa va fatto e in che modo. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza riserva 6 riforme e 11 investimenti, direttamente di competenza del Ministero dell’Istruzione, alla “Scuola del domani”. Un totale complessivo di oltre 17 miliardi stanziati per rendere la scuola più inclusiva, più sostenibile e più innovativa.

Come procedere dunque? A partire dalla nostra analisi, abbiamo individuato tre ambiti urgenti di intervento: il digital divide, l’impatto psicologico della Dad e le disuguaglianze nell’apprendimento. La Dad, pur con i suoi risvolti negativi, può avere un ruolo nella “Scuola del domani”, attraverso una regolata integrazione tra didattica in presenza e a distanza, insieme con l’utilizzo di piattaforme digitali come ausilio all’apprendimento. Se il digitale dovesse divenire parte integrante dell’ambiente scolastico, come si può ragionevolmente presupporre, sarà necessario assicurare a tutti gli studenti e studentesse accesso a dispositivi adeguati e a una connessione ben funzionante. Non solo: è essenziale formare docenti e studenti in modo da sfruttare al meglio le potenzialità del digitale. In secondo luogo, sul fronte psicologico, occorreranno sforzi e investimenti collettivi per sostenere le giovani e i giovani, ad esempio attraverso l’istituzione e il potenziamento di centri di supporto psicologico in tutte le scuole e università del territorio. La sospensione dell’attività scolastica in presenza e delle interazioni umane a essa strettamente connesse ha significato per molti ragazzi e ragazze un’interruzione nel rapporto con individui al di fuori della ristretta cerchia di familiari. La riduzione di tali relazioni ha reso anche più difficile, per quanti e quante si trovano alla fine del percorso scolastico, la costruzione di reti interpersonali che risultano indispensabili, anche solo ai fini dell’orientamento, nella fase di transizione tra scuola, università e mondo del lavoro.

Da ultimo, è necessario intervenire perché la pandemia non lasci in eredità una scuola in cui chi già era in difficoltà si trovi ancora più svantaggiato di prima. Non illudiamoci di poter evitare queste conseguenze: il divario si è già allargato e ogni intervento adottato ora rappresenterà un’azione a posteriori per “limitare i danni”. È una cicatrice che lascerà le sue tracce su un’intera generazione, perché è impossibile colmare la perdita di quasi due anni di scuola. Per questo sono necessarie azioni decise, come un sistema rapido di interventi di valutazione mirati, per comprendere dove – in quali ambienti, su quali fasce d’età, in quali territori – si registrano le lacune maggiori. Contestualmente, occorre potenziare e rendere strutturali le attività di recupero didattico, avendo anche il coraggio di ripensare il calendario scolastico.

Immaginare la scuola di domani, anche alla luce degli stanziamenti del Pnrr, è importante. Ma per evitare che rimanga un vuoto esercizio mentale, ci si deve anche dedicare con cura alla scuola che sta formando, oggi, le cittadine e i cittadini di domani.

Ha collaborato all’articolo:

Emma Paladino – Junior researcher presso IRS – Istituto per la Ricerca Sociale. Laurea triennale in Scienze Politiche e magistrale in Economia all’Università di Bologna. È senior fellow del think tank Tortuga, tramite il quale pubblica questo contributo.

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