Articolo pubblicato per Business Insider Italia

Lunedì 9 novembre, il Ministro del Lavoro Nunzia Catalfo ha presentato il Rapporto Annuale sul Reddito di Cittadinanza (RdC) relativo all’anno 2019. Tale misura, entrata in vigore nel marzo 2019, costituisce la politica sociale cardine della lotta alla povertà in Italia. Il RdC ha sostituito il Reddito di Inclusione Sociale, introdotto nel gennaio 2018 dalla scorsa legislatura, ed è oggi accompagnato dal Reddito di Emergenza, intervento di natura integrativa che va a sostegno dei nuclei familiari non raggiunti (o non sostenuti a sufficienza) dalle altre politiche sociali (RdC, ma anche Cig e Naspi).

Il RdC, come è noto, è una misura ibrida, che prevede strumenti di politiche attive per il lavoro, ma anche di contrasto alla povertà. Tuttavia, in molti hanno sollevato dubbi e osservato criticità nella sua architettura.

Poco prima della pubblicazione del report, Baldini e Gallo avevano riassunto tali punti:

  • la misura sfavorisce i nuclei familiari più numerosi (come anche evidenziato nel libro Ci pensiamo noi, edito da Egea),
  • è difficilmente accessibile da parte dei cittadini stranieri,
  • rischia di non generare occupazione, ma al contrario di incentivare il nero e l’inattività.

Il Rapporto, come vedremo, non costituisce una vera e propria valutazione d’impatto della politica, tuttavia necessaria per formulare i dovuti correttivi e rendere lo strumento più efficace nel conseguire gli ambiziosi obiettivi che si pone. Di fronte all’incremento delle famiglie in condizioni di povertà dovuto alla crisi degli ultimi mesi, il Ministero dovrebbe aprire il laboratorio di analisi delle politiche sociali al mondo della ricerca, mettendo a disposizione dati amministrativi per consentire valutazioni e analisi che informino e guidino il policy-making.

Povertà abolità?

L’infelice dichiarazione di ‘aver abolito la povertà’ si è presto capito essere iperbolica. Va innanzitutto chiarito cosa si intende quando si parla di povertà.

Abbiamo infatti diversi indici:

  • una famiglia in povertà grave ha un reddito inferiore al 40% del valore mediano della popolazione italiana;
  • una famiglia in povertà relativa inferiore al 60%.

La misura più diffusa e rappresentativa è la povertà assoluta, che non compare nel Rapporto. Elaborata dall’Istat, questa misura tiene infatti conto del costo della vita affrontato dalla famiglia, che varia significativamente a seconda del luogo di residenza. Un nucleo familiare in povertà assoluta non riesce a permettersi beni e servizi essenziali. La povertà grave, su cui si concentra il Rapporto, è una misura più facilmente ottenibile, in quanto si rapporta a un unico valore nazionale, ma anche meno precisa nell’esprimere le condizioni in cui versano i soggetti in esame.

Dal Rapporto emerge quindi che la misura abbia avuto un impatto significativo, rivelandosi in grado di portare fuori dalla povertà grave ben 250 mila nuclei beneficiari su un totale di 920 mila. È certamente una buona notizia, ma vale la pena chiedersi perché non si è riuscito a fare altrettanto con le 670 mila famiglie restanti, che versano in situazioni di povertà grave sia prima che dopo il beneficio.

Se andiamo a vedere che tipo di famiglie riescono a essere portate oltre la soglia del 40%, l’immagine diventa più chiara: si tratta per più della metà dei casi di nuclei con uno o due componenti; più sale il numero di componenti della famiglia, meno il Reddito di Cittadinanza è in grado di trarli fuori dalla povertà grave. È interessante poi osservare come tale superamento avviene più di frequente nel Centro-Nord, con punte di 30%, mentre al Mezzogiorno l’incidenza di tali famiglie non supera il 20%.  Non è però chiaro se e quanti di questi nuclei versino ancora in condizioni di povertà relativa o abbiano superato anche tale soglia.

Sicuramente il beneficio riesce ad allontanare i nuclei familiari dalle condizioni più estreme di povertà. Tale fenomeno è catturato dall’intensità della povertà grave, ovvero la differenza percentuale tra il reddito della famiglia prima del RdC e la soglia di povertà. Se prima dello strumento questo gap era superiore al 50% in tutte le regioni, dopo l’intervento arriva a valori massimi del 15%. La riduzione percentuale di tale gap è superiore all’80% in tutte le regioni.

Il Reddito di Cittadinanza ha pertanto contribuito in maniera incisiva alla lotta alla povertà. Basti pensare che rappresenta l’unica fonte di reddito per almeno una famiglia su due tra quelle beneficiarie in ogni regione (con un massimo del 70% in Sicilia). Manca però un dato cruciale, ovvero quante famiglie sono in grado di permettersi beni e servizi essenziali dopo aver ricevuto il beneficio: questo, più che la soglia statistica della povertà grave, darebbe una misura concreta di riduzione della povertà.

Inoltre, vi sono almeno 80 mila nuclei beneficiari che, prima di ricevere il RdC, si trovavano oltre la soglia di povertà grave. Il RdC è una misura consistente per le Casse dello Stato, con 7,1 miliardi stanziati nell’apposito fondo nel 2019 e 8,1 previsti nel 2020; è pertanto legittimo ragionare sull’efficienza di questo capitolo di spesa: nel combattere la povertà dovrebbe essere prioritario garantire a tutti i beni e servizi essenziali. A tal fine, occorrerebbe modulare il beneficio in base al costo della vita, criterio ad oggi assente, concentrare le risorse per famiglie in condizioni più estreme, e valutarne l’impatto in tale ottica.

Infine, vi è decisamente bisogno di un ripensamento dei criteri di assegnazione così da rendere la misura accessibile anche ai nuclei familiari di stranieri, modificando il requisito di residenza in Italia da dieci anni. Se i beneficiari del Reddito sono solo l’11,6% di nazionalità straniera, l’Istat mostra come tra i nuclei in povertà assoluta tre su dieci siano famiglie con stranieri: una sottorappresentazione nella platea dei beneficiari troppo pronunciata.

Trovare lavoro con il reddito

Spostandoci sul capitolo del mercato del lavoro, sappiamo che 260 mila individui (il 13%) svolgono un lavoro subordinato o parasubordinato, e che questi si concentrano nel Nord Italia. Si tratta di lavori a tempo indeterminato in un caso su due, e nella maggior parte dei casi è un rapporto di lavoro iniziato da meno di un anno. Questi dati danno consistenza al fenomeno dei working poors, ovvero indeboliscono quel legame tra superamento della povertà e occupazione su cui il Reddito di Cittadinanza sembra essere incentrato per costruzione.

Tuttavia, il Rapporto non fornisce informazioni chiare in merito alla capacità dei Centri per l’Impiego, verso cui i beneficiari ritenuti idonei al lavoro vengono indirizzati, di reinserire i soggetti nel mercato del lavoro. Questo è in parte comprensibile considerando le tempistiche di implementazione e di valutazione: il Rapporto, infatti, si riferisce al solo 2019, mentre il RdC è un servizio erogato in cicli di 18 mesi. Ad oggi, però, il primo ciclo si è concluso, e mentre i primi beneficiari di marzo 2019 hanno la possibilità di rinnovare la domanda, sarebbe interessante capire se i 352 mila beneficiari che da allora hanno avuto almeno un rapporto di lavoro (come registra l’Anpal) abbiano avuto successo grazie ai servizi offerti dai CpI o in autonomia.

Un punto di inizio, non di arrivo

Il Rapporto sul Reddito di Cittadinanza è un importante passo nella dimensione dell’accountability delle politiche sociali. Non può però costituire semplicemente un punto di arrivo, una ricorrenza annuale fine a sé stessa. In primis, le stesse evidenze prodotte dal ministero mostrano la necessità di correttivi della misura che, sebbene incisiva, ha ampi margini di miglioramento. In secondo luogo, le informazioni in esso contenute non sono sufficienti per stimare l’impatto e l’efficacia della misura in esame sulle tante dimensioni che investe. Mettere a disposizione del mondo della ricerca i dati individuali dei beneficiari (nel rispetto della tutela della privacy) porterebbe alla produzione di analisi originali e indipendenti, sulle quali basare le prossime politiche sociali. Nella lotta alla povertà, i dati possono rivelarsi un’arma efficace: usiamoli come tale.

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