Articolo pubblicato per Fanpage.it

Ridurre la domanda, ridurre i tempi, aumentare la digitalizzazione. Ecco le tre strade per cambiare davvero la giustizia italiana, la cui inefficienza è uno dei principali problemi della competitività del nostro Paese. Ed ecco perché i soldi di Next Generation Eu sarebbero ottimamente spesi, se si decidesse di farlo

Lo sappiamo, la giustizia in Italia è un problema. In particolare quella civile: tempi lunghi e costi elevanti allontanano gli investimenti e rendono più complessa l’attività economica. A ricordarcelo è la stessa Commissione Europea: risolvere questo nodo è cruciale per l’Italia, in particolare in un momento di crisi in cui è vitale far ripartire in fretta il sistema economico. E il Recovery Fund può rappresentare un’occasione unica di riforma.

La giustizia civile in Italia
Un sistema giudiziario incerto porta a un danno economico: la Banca d’Italia stimava che se la durata media dei processi in Italia fosse scesa ai livelli tedeschi si sarebbe assistito a un aumento del Pil di un punto percentuale. Una giustizia civile lenta e inefficiente rappresenta un deterrente per gli investitori, in quanto impone un costo aggiuntivo ex ante e quindi rendimenti maggiori.

I problemi della giustizia civile italiana sono principalmente due, profondamente interconnessi: la durata dei processi e il numero di casi pendenti. Secondo i più recenti dati del Cepej (European Commission for the Efficiency of Justice) del Consiglio europeo, nel 2016 in Italia per risolvere un caso pendente erano necessari 1 anno e 5 mesi in primo grado (la media europea è di 6 mesi), 2 anni e 9 mesi in secondo grado (la media europea è di 4 mesi), e 4 anni in terzo grado (meno di 6 mesi in media nel resto d’Europa): un processo civile che arriva al terzo grado di giurisdizione dura quindi in media più di 8 anni! Nessun paese dell’Unione fa peggio di noi. Questa lentezza rappresenta un ostacolo allo smaltimento dei casi pendenti: nel 2016 erano più di 4 ogni 100.000 abitanti, contro una media europea di 1,24. Sebbene negli ultimi anni il numero di casi pendenti sia diminuito, lo stesso è avvenuto negli altri paesi membri, e l’Italia è rimasta sempre l’ultima della lista.

Quali soluzioni?
Il problema non è la carenza di risorse: dal 2000 a oggi l’Italia ha sempre speso di più della media europea nel proprio sistema giudiziario (dati Eurostat), e nel 2018 era decima per spesa pro capite. Sono necessari invece interventi profondi.

Da un lato, sembra essere necessario diminuire la domanda di giustizia: nel 2016 sopraggiungevano 2,57 casi ogni 100.000 abitanti, mentre negli ormai celebri “paesi frugali” non si superavano gli 0,97 nuovi casi. In questo senso, come sottolineato dal rapporto dell’Osservatorio dei conti pubblici, è necessario ridurre il numero di impugnazioni delle sentenze, che in Italia sembrano essere la regola e che contribuiscono ad appesantire il sistema. Una soluzione potrebbe essere quella di condannare l’attore soccombente in appello o in Cassazione al pagamento di un importo diverse volte maggiore del contributo unificato (la tassa per le spese dei procedimenti giudiziari). L’importo potrebbe essere modulato in base al reddito, in modo da non penalizzare eccessivamente i più poveri.

C’è poi il problema dei tempi lunghi. Gli interventi sono numerosi e particolarmente tecnici. Possiamo però affermare la necessità di intervenire sull’organico: in Italia ci sono più di 378 avvocati ogni 100.000 abitanti contro una media europea di 119, mentre siamo ampiamente sotto media in termini di giudici, pubblici ministeri e staff. Per gestire un sistema così complesso è auspicabile poi fare affidamento a soggetti non soltanto preparati dal punto di vista giurisprudenziale, ma dotati anche di spiccate doti manageriali. Attraverso corsi obbligatori e centri di coordinamento a livello nazionale occorre sviluppare migliori capacità di gestione e organizzazione del lavoro all’interno dei tribunali. Qui il recovery Fund può fornire un aiuto iniziale.

Andrebbero poi perseguite soluzioni alternative includendo i privati, ad esempio attraverso la pratica della mediazione. Dal 2013 il contenzioso in tribunale è diminuito del 40% nelle materie dove è stata utilizzata.

Infine, il Covid-19 ha evidenziato i limiti dell’apparato informatico giudiziale italiano: tribunali inattivi per mesi, impossibilità per il personale ad accedere ai registri informatici durante lo smart working. La digitalizzazione della giustizia garantirebbe maggiore accessibilità agli strumenti, una migliore gestione dei carichi di lavoro e del personale, una migliore accountability. Anche qui il Recovery Fund può essere fondamentale.

Investire nella giustizia civile significa investire nella competitività dell’economia italiana. Finché per ottenere una sentenza definitiva sarà necessario aspettare anche più di otto anni, incontreremo difficoltà nell’attrarre capitali dall’estero e scoraggeremo gli investimenti, ma soprattutto non potremo dire di essere in grado di garantire una giustizia veramente giusta.

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