Articolo pubblicato per Business Insider Italia

È noto che il turismo giochi un ruolo chiave nella nostra economia nazionale, soprattutto nella stagione estiva. Siamo “esportatori netti di turismo”, con un saldo netto di 16,2 miliardi tra spese effettuate da cittadini stranieri in Italia e spese di cittadini italiani all’estero. Il Bel Paese è riconosciuto internazionalmente come una delle mete turistiche più ambite nel mondo: con 42 miliardi di entrate da viaggi internazionali nel 2018, l’Italia si piazza al sesto posto per entrate da viaggi internazionali.

Ogni anno, in media, il numero delle presenze di clienti negli esercizi ricettivi italiani è di 265 milioni circa, con un aumento di circa 50% dal 1990 a oggi.

Infine, il settore turistico conta 3,5 milioni di occupati nel 2018 e una contribuzione al Pil del 13,2% nello stesso anno. Ma questi numeri non sono sufficienti a descrivere quanto questo settore sia importante per il nostro paese non solo da un punto di vista economico, ma anche sociale e culturale.

Nel trimestre primaverile 2020 si attendevano 81 milioni di presenze turistiche, soprattutto di clienti stranieri (56% delle presenze) e nelle strutture alberghiere (70,6%).  Per ovvi motivi, queste attese sono state e saranno disattese. Si prevedono infatti 10 miliardi di euro circa di spesa “mancata” degli stranieri in Italia tra marzo e maggio 2020.

Nel trimestre successivo, la situazione potrebbe peggiorare ulteriormente. Infatti, la spesa degli stranieri nel terzo trimestre (da luglio a settembre) del 2019 è stata di 16,7 miliardi di euro e, tenendo conto di un tasso di crescita del 5% circa, pari a quello registrato negli ultimi anni, il totale atteso per il 2020 era di circa 17,5 miliardi di euro. Il coronavirus ha stravolto queste attese.

L’impatto sarà sicuramente percepito in termini di minore stabilità delle presenze, in quanto i cittadini stranieri si distribuiscono più uniformemente durante il periodo estivo. A causa delle misure di distanziamento sociale che le strutture di ricezione dovranno attuare, provocando un aumento dei costi e una riduzione della capacità massima, l’assenza di questa uniformità nella domanda sarà particolarmente sentita. La congiunzione di questi due effetti negativi potrebbe far sì che molti esercenti considerino i ricavi di un solo mese di attività piena (e anche nel migliore dei casi a capacità ridotta) non sufficienti a giustificare i costi necessari a garantire la sicurezza sanitaria, scegliendo quindi di non riaprire.

Infatti, il settore turistico è caratterizzato da alti costi fissi e bassi costi variabili: aprire ha un alto costo fisso, ma nel momento in cui l’azienda apre, il costo aggiuntivo necessario per erogare il servizio a un altro cliente è relativamente contenuto. Queste aziende hanno quindi bisogno di un alto numero di clienti per fronteggiare l’alto costo fisso dovuto all’apertura. La riduzione della loro capacità massima implica quindi una ridotta capacità di coprire i costi di apertura, arrecando un profondo danno al settore e disincentivando la ripresa delle attività.

Questo timore appare ancor più fondato nelle regioni in cui i turisti stranieri rappresentano un’importante fetta di ricavi, e che possiamo identificare dalle cartine qui sotto che mostrano la spesa complessiva di italiani e stranieri sia nel trimestre primaverile (marzo-aprile-maggio, o “mam”) che nel trimestre estivo (luglio-agosto-settembre, o “las”).

Distribuzione per 5 quantili della spesa degli italiani nel trimestre marzo-aprile-maggio (mam) nel 2019.
Stesso trimestre ma spesa degli stranieri.
Distribuzione per 5 quantili della spesa degli italiani nel trimestre luglio-agosto-settembre (las) nel 2019.
Stesso trimestre ma spesa degli stranieri.

La spesa di cittadini stranieri risulta essere maggiore per Veneto, Liguria, Sicilia e Sardegna, e più o meno equivalente a quella interna in Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio e Campania. Saranno queste regioni a soffrire maggiormente l’assenza di turisti stranieri.

Molte di queste regioni sono le più colpite dal virus e, quindi, anche nel caso in cui vi fosse una parziale riapertura verso il turismo straniero, l’afflusso in queste regioni sarà decisamente inferiore.

Infatti, secondo uno studio di Demoskopika, il 70% del mancato introito (pari a 12,6 miliardi di euro) si concentrerà in 6 regioni, appunto Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio e Trentino-Alto Adige.

Infine, come mostrato in uno studio condotto da Unioncamere, molte di queste regioni dipendono in grande parte dal settore turistico. Nel 2016, in Veneto, Liguria e Toscana l’incidenza del valore aggiunto turistico su quello dell’intera regione era circa del 10%.

Le misure

Per salvaguardare il settore turistico dunque, sono necessari interventi su due fronti fortemente interconnessi:

  • da un lato occorre sostenere le imprese, le quali oggi hanno bisogno soprattutto di liquidità, ma nei mesi a venire dovranno anche poter contare su un minore grado di incertezza riguardo l’organizzazione delle loro attività produttive.
  • Dall’altro, è importante sostenere la domanda, senza la quale qualsiasi altro sforzo risulterebbe vano.

Le misure introdotte dal Governo, anche se parzialmente, vanno in questa direzione. Ma andiamo con ordine.

Per prima cosa, con il Dl del 2 marzo, è stata introdotta la possibilità per gli operatori turistici che rescindono dai contratti da eseguirsi nel periodo di lockdown e di offrire al viaggiatore un pacchetto sostitutivoeliminando l’obbligo di rimborso. Una decisione necessaria, che rischia però di danneggiare il rapporto delle imprese coi propri clienti, e che da sola non è in grado di garantire la liquidità necessaria.

Il successivo decreto “Cura Italia” è stato fortemente criticato per la poca attenzione riservata al turismo: molti esponenti del settore hanno chiesto a gran voce misure ad hoc, nonché l’intervento diretto del Governo con contributi a fondo perduto per le imprese turistiche.

Da questo punto di vista quindi, il Decreto “Rilancio” rappresenta una buona notizia: tra interventi diretti e indiretti dovrebbero essere stanziati circa 4 miliardi, destinati a finanziare il bonus vacanze, crediti di imposta, fondi per il turismo, agevolazioni fiscali e maggiore flessibilità della cassa integrazione. Per le imprese turistiche che rientrano nella categoria delle Pmi, un ulteriore aiuto arriverà dai contributi a fondo perduto per esse disposti.

Sicuramente un passo in avanti, ma timido e probabilmente insufficiente, soprattutto considerando l’importanza del settore.

Per fornire un termine di paragone, si pensi che la Francia, dove il turismo contribuisce all’8% del Pil, stanzierà 18 miliardi per sostenerne imprese e lavoratori. Le misure sembrano un debole tentativo di mettere una toppa provvisoria piuttosto che uno sforzo sostenere concretamente il settore: secondo l’associazione Minima Moralia, le misure di sostegno finanziario andrebbero estese a tutte le imprese turistiche senza limiti di tipologia e dimensione, e la cassa integrazione dovrebbe essere prolungata a tutto il 2020. Fondamentale è anche sostenere gli investimenti necessari alle imprese per rimanere competitive, ad esempio facilitando fiscalmente le aggregazioni fra operatori turistici sfruttando così i vantaggi derivanti dalle economie di scala.

Un’iniezione temporanea di liquidità, sia da lato della domanda che dell’offerta, potrà aiutare le imprese a rimanere in vita, ma nel lungo termine non sarà sufficiente: in assenza di certezze sul futuro del proprio settore, molte imprese potrebbero decidere di chiudere oggi piuttosto che fallire domani.

A oggi i dubbi sono ancora troppi: quali saranno le misure di sicurezza da applicare nei luoghi di interesse turistico? Sarà possibile lasciare la propria regione per andare in vacanza? Come verrà gestito l’eventuale flusso di turisti dall’estero?

Nell’immediato quindi, servono soprattutto risposte a questi interrogativi per limitare l’incertezza che paralizza il mercato, agendo da deterrente a investimenti e consumi.

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