Articolo pubblicato per Linkiesta

L’incertezza legata alla possibilità che le lezioni vengano mantenute online, le date e modalità dei test d’ingresso, le difficoltà dei trasferimenti da una città a un’altra sono problemi che non hanno soluzioni facili. E uno studente universitario su tre è attualmente un fuori-sede

L’epidemia di Covid-19 sta avendo conseguenze socio-economiche enormi per tutta la popolazione. Il blocco completo delle attività ha un impatto diretto non solo sui lavoratori, ma anche sugli studenti a ogni livello del sistema scolastico e universitario. Quest’ultimi si trovano ad affrontare la chiusura di scuole e università, istituzioni cruciali non solo per l’apprendimento, ma anche per lo sviluppo di capacità relazionali e decisionali fondamentali negli stadi successivi della vita.

Per garantire lo svolgimento delle attività negli ultimi mesi sono state introdotte le lezioni a distanza e sono stati adattati gli esami di maturità e universitari. Nei prossimi mesi, per ridurre i rischi di nuovi contagi, si pensa a entrate scaglionate, classi ridimensionate, un mix di didattica a distanza e didattica in presenza. Tuttavia, tutte queste misure tralasciano un fatto: a settembre molti giovani si troveranno a prendere scelte cruciali per il loro futuro.

Alcuni sceglieranno il tipo di scuola secondaria, altri si troveranno davanti alla possibilità di abbandonare la scuola, altri ancora sceglieranno se iscriversi all’università e a quale corso di studi. 

Riflettere su come l’epidemia possa interferire queste scelte è fondamentale per intervenire tempestivamente su più fronti. Soprattutto in un paese come l’Italia in cui l’abbandono scolastico è ancora oltre la soglia europea del 10% e la percentuale di immatricolati tra i diplomati era poco sopra il 60% nel 2018 (Miur, 2019).

Soprattutto se l’epidemia – come in altri ambiti – rafforza disuguaglianze educative già esistenti tra aree geografiche e famiglie. A rischio, infatti, non sono tutti gli studenti. Il coronavirus colpirà particolarmente coloro già indecisi in tempi “normali”, ridimensionando le aspirazioni e scoraggiando scelte più ambiziose. 

Ci concentriamo su due dimensioni d’intervento. I fattori economici e l’orientamento. Le difficoltà economiche indotte dalla crisi hanno un effetto diretto sulle possibilità di supportare il percorso universitario dei figli, che spesso richiede spese ben più alte delle sole tasse universitarie. Tuttavia, possono avere anche un effetto indiretto, generando incertezza sul futuro nei singoli studenti e all’interno delle famiglie più in difficoltà.

A tutti i livelli scolastici, ma soprattutto al termine della scuola dell’obbligo e delle superiori, è dunque responsabilità del sistema scolastico e universitario rafforzare il supporto che le studentesse e gli studenti ricevono al di là del contesto famigliare in cui si ritrovano isolati da mesi. 

Dalla scuola superiore all’università

La percentuale d’immatricolazione è tornata agli stessi livelli di venti anni fa: circa il 65% dei diplomati intraprende il percorso universitario. Un indicatore che va tenuto sotto costante osservazione, dato che, come riportano i dati Eurostat, la popolazione tra i 30-34 anni laureata in Italia è del 27.6%, contro una media europea del 40.3%.

Tuttavia, come si evince dal grafico, dal 2005 al 2014 il trend è stato negativo, complice l’impoverimento di un’ampia fetta del nostro paese durante la Grande Recessione.

La dimensione economica non è però l’unica a minacciare un crollo delle matricole universitarie: il costo dell’incertezza è un’ulteriore variabile da prendere in considerazione. Infatti, sono pochi gli studenti del quinto anno ad avere un’idea certa del proprio futuro.

Secondo un recente rapporto di Almadiploma, alla vigilia della Maturità circa il 15% degli studenti è indeciso tra lavoro e studio, il 7% cerca di coniugarli e il 10% intende solo lavorare. La quota dei diplomati incerti sul proprio futuro prossimo è particolarmente elevata tra i tecnici e i professionali (25,1% e 29,9% rispettivamente) e in famiglie in cui i genitori non sono laureati. Inoltre, continua il rapportogli studenti italiani non sono del tutto convinti del fattore laurea come strumento di successo personale: meno di uno su cinque si identifica con la frase “Penso che il guadagno sia proporzionale al titolo di studio”.

La recente crisi rischia di esacerbare incertezze già presenti e introdurne di nuove. Basti pensare all’incertezza legata alla possibilità che le lezioni vengano mantenute online, alle date e modalità dei test d’ingresso, alle difficoltà dei trasferimenti da una città a un’altra (uno studente universitario su tre è attualmente un fuori-sede).

E ancora, il tema affitti: perché cercare una sistemazione se è possibile che lo studente non possa usufruirne? Questa dinamica sfavorirebbe gli studenti distanti dai centri universitari o che ricercano un’offerta universitaria diversa da quella locale. Le regioni a rischio sarebbero per esempio Basilicata, Valle d’Aosta e Molise, dove la soddisfazione della domanda interna (misurata in termini di indice di allocazione dal rapporto degli studenti iscritti a un corso di laurea nella stessa regione di residenza sugli studenti di quella regione iscritti a un corso di laurea) si aggira intorno al 40% per cento (dati Istat 2016), di molto inferiore al 90% di Toscana o Lombardia. 

Più in generale, gli strumenti a disposizione degli studenti per scegliere, già pochi e insufficienti, sono stati anch’essi travolti dall’emergenza coronavirus. Open-day, fiere e orientamento in classe sono stati ridotti ai minimi termini o in forma virtuale.

Di conseguenza, quelli che in economia vengono definiti search costs, ossia costi di ricerca, sono aumentati in modo considerevole e rischiano di complicare, fino al punto di posticipare o per chi non se lo possa permettere, di non fare la scelta universitaria. Il rischio è che la crisi colpisca in modo asimmetrico gli studenti, cristallizzando disuguaglianze territoriali e sociali già esistenti. 

Non solo didattica, anche orientamento a distanza
La necessità imperativa è quella di esporre gli studenti a maggiori informazioni sul percorso post-diploma, contribuendo a ridurre le incertezze, siano esse generate dall’emergenza o già presenti.  Nella situazione di emergenza la didattica in presenza si è trasformata temporaneamente in didattica a distanza, proponiamo quindi di introdurre e valorizzare anche l’orientamento a distanza. In quest’ottica è possibile delineare due vettori d’azione mediante cui raggiungere gli studenti: in modo diretto o in modo intermediato dalle singole scuole. 

In primo luogo, sono sempre di più gli studenti dotati di una mail istituzionale e di un registro elettronico. Questi canali potrebbero risultare vantaggiosi per chi, come il ministero, potrebbe far recapitare a ogni studente dei documenti contenenti le informazioni principali sulle varie facoltà universitarie: prerequisiti, peculiarità, opportunità lavorative, tasse universitarie. In modo eccezionale, si potrebbe pensare anche a un test orientativo studiato ad hoc dal ministero dell’Istruzione e che permetta di veicolare informazioni più personalizzate.

In generale, il compito principale è quello di lavorare sulla percezione dello studente, il quale, esposto a informazioni che altrimenti avrebbe dovuto reperire da sé e ora può solo farlo in modo parziale, si sentirebbe più supportato nella scelta post-diploma dall’istituzione scolastica, e non solo da altri attori. L’orientamento formativo è anche una delle proposte che avanziamo nel nostro libro “Ci pensiamo noi”.

Lo stesso rapporto Almadiploma riporta che per il 60% degli studenti l’opinione dei genitori sul proprio percorso post-diploma ha giocato un ruolo importante. Laddove, però, il supporto famigliare scarseggi, è di primaria importanza dotare gli studenti di strumenti propri per l’eventuale scelta universitaria.

In secondo luogo, il MIUR potrebbe utilizzare i canali istituzionali per incentivare i  professori, o il coordinatore di classe, ad aumentare le attività di orientamento. Per esempio, all’orientamento a distanza potrebbero essere dedicate le ore che sarebbero state altrimenti utilizzate per la preparazione delle prove scritte, organizzando attività – individuali e di classe – che stimolino gli studenti a riflettere sul proprio futuro e a cercare informazioni online.

Il lockdown ha ridotto in modo drastico le occasioni di confronto tra professori e studenti, momenti spesso significativi per il cammino da intraprendere dopo la maturità. Dedicare alcune ore all’orientamento a distanza può aiutare a recuperare parzialmente queste occasioni, se non crearne di nuove . 

Sarebbe utile fare tesoro di questo shock per ripensare in modo armonico l’orientamento universitario, favorendo una transizione più fluida e meno burrascosa – e perciò insicura – dall’istruzione secondaria a quella terziaria. Le proposte qui delineate sono alcune delle vie percorribili.

Vogliamo però sottolineare l’importanza di mettere in campo nuovi strumenti per l’orientamento sia nell’emergenza coronavirus sia in un quadro più generale. Le scelte formative determinano non solo il futuro degli studenti, ma anche le dinamiche e gli equilibri della collettività, del sistema paese. 

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