L’articolo è stato pubblicato per Linkiesta.it

Il governo italiano non ha dati a sufficienza per gestire bene il contagio, e questo si traduce nell’incapacità di anticipare la diffusione del virus. Col risultato di essere costretto a rincorrerlo.

L’Italia è ormai paralizzata da più di 6 settimane. È quindi quanto mai opportuno indagare se non vi siano modelli da cui possiamo imparare per migliorare la nostra risposta all’emergenza che stiamo vivendo. Va infatti considerato che un fattore essenziale per molte di queste policies è il tempo.

L’efficacia di alcuni strumenti cambia drasticamente a seconda di quando vengono implementati, tanto più tempo passa tanto meno hanno effetto e tanto più il costo umano ed economico aumenta. Si tenga in considerazione, ad esempio, che decidere con un solo giorno di anticipo di applicare misure drastiche di contenimento può ridurre il numero totale di casi del 40%

Come stiamo vedendo, però, mantenere le persone in isolamento non è l’unica via per riuscire ad arrestare l’espansione di un virus. Paesi virtuosi del sud-est asiatico stanno basando il loro successo su una combinazione di test a tappeto e utilizzo di dati personali per poter tracciare i movimenti e le interazioni dei contagiati, e norme comportamentali. 

Le ipotesi dietro la riuscita di questa formula potrebbero ricercarsi nella loro cultura collettivista o nell’aver imparato dalle recenti epidemie di SARS nel 2003-2004 o MERS nel 2015. La suddetta combinazione di fattori per avere successo necessita, infatti, di una ferrea osservanza delle norme da parte della popolazione e di una repentina implementazione delle stesse da parte dei governi.

Stante la quasi totale assenza, fino ad ora, di strumenti tecnologici per il tracciamento dei contagi nel nostro paese, limiteremo il confronto all’utilizzo dei tamponi. 

Il grafico soprastante riporta il numero di casi confermati e di tamponi effettuati in Italia e in Corea del Sud a partire dal centesimo caso confermato di coronavirus. 

Considerare l’andamento nei due paesi a partire dal centesimo caso ci permette di confrontare l’utilizzo dei tamponi a parità di evoluzione dell’epidemia. Se al decimo giorno il numero di casi era molto simile, 769 in Italia e 586 in Corea, lo stesso non può essere detto dei tamponi, 2.525 contro 65.782. Un numero così alto di test ha permesso al governo sudcoreano un isolamento più preciso dei contagiati e, quindi, una rapida discesa del numero di contagi. 

 numero assoluto di tamponi può essere una misura fuorviante perché, per evitare che il virus si diffonda, importante è il rapporto tra il numero di persone testate e i casi positivi. I dati pubblici sui test però non riportano il numero di persone testate. 

Per provare a correggere parzialmente questa stortura abbiamo quindi calcolato il rapporto tra il numero di test e la somma di nuovi positivi giornalieri e nuovi dimessi, le due categorie sottoposte a tamponi. Chiamiamo questa variabile casi gestiti. 

Spesso vi è una discrasia tra il momento in cui un test viene effettuato e la sua registrazione, il cui effetto sui risultati sembrerebbe però marginale. Dopo il picco del primo giorno i valori italiani si assestano velocemente tra 3 e 9, la Corea del Sud invece ha toccato da subito picchi vicino a 190 per navigare sempre tra 27 e 110, circa dieci volte i valori italiani. 

Le differenze nell’implementazione dei test però non si fermano al confronto internazionale. Anche nello stesso territorio italiano vi sono forti divergenze tra le regioni.

Come possiamo notare dai grafici soprastanti il numero di tamponi a livello assoluto in Veneto ed in Lombardia non è dissimile. La differenza nell’efficacia della loro implementazione sta, esattamente come nel paragone tra Italia e Corea del Sud, nel loro rapporto rispetto al numero di contagi presenti nella regione.

Utilizzando il rapporto tra test giornalieri e casi gestiti visto in precedenza per Italia e Corea del Sud si coglie come, anche al netto delle fluttuazioni iniziali, il valore sia sempre stabilmente maggiore in Veneto rispetto alla Lombardia. Inoltre questi numeri evidenziano la preoccupante situazione in Lombardia dove vi sono giornate in cui il rapporto tra test effettuati e la somma tra nuovi casi positivi e dimessi è addirittura 1. 

Questa incapacità nel riuscire ad anticipare la diffusione del virus e nel ritrovarsi a rincorrerlo è ancora più evidente nel prossimo grafico. Qui oltre ai tamponi giornalieri mostriamo l’andamento del numero di ospedalizzati, pazienti in terapia intensiva, decessi e guariti per le due regioni. Risulta evidente non solo quanto i numeri di test effettuati in Lombardia sia inadeguato, ma anche come dalla fine di marzo il sistema sanitario lombardo sia entrato in crisi raggiungendo il suo livello di saturazione.

Cosa possiamo imparare da questi dati? L’Italia potrebbe migliorare la propria risposta incrementando la capacità di effettuare tamponi e, quindi, il loro numero, mantenendolo su livelli che ha mostrato di poter raggiungere in questi ultimi giorni ed evitando quindi continue ricadute come quella osservata tra l’11 e il 14 aprile. Sarebbe inoltre importante garantire su tutto il territorio nazionale un livello di controllo derivante dai tamponi ai livelli delle regioni più virtuose. Infine al miglior utilizzo dei tamponi, che fotografano la situazione attuale, andrebbe quanto prima affiancata l’implementazione di test sierologici, che permettono di vedere chi ha sviluppato anticorpi per il virus. Come sottolinea il presidente del consiglio superiore della sanità Franco Locatelli: «È fondamentale che venga scelto un unico test sierologico in tutta Italia in modo da poter incrociare i dati e compararli per fare un’analisi valida della situazione». Questo è un passaggio fondamentale per sostenere, specie in queste prime fasi, una graduale riapertura delle attività. 

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