Lunedì 9 marzo il prezzo del petrolio è crollato del 30% in un sol giorno, la variazione più consistente dalla Guerra del Golfo. Le cause? Il fallimento del vertice Opec – l’organizzazione dei paesi esportatori di petrolio – con la decisione dell’Arabia Saudita di aumentare la produzione a discapito delle richieste e il Coronavirus, che ha ridotto fortemente la domanda di greggio visto il rallentamento dell’economia cinese.

Questo vero e proprio crollo di circa il 30% sul Brent – considerato il prezzo di riferimento del barile europeo – ora ai minimi dal 2016 (http://bit.ly/2IKGnIU), porta da un lato meno entrate ai paesi esportatori, dall’altro energia meno cara per gli importatori, tra cui l’Italia. Un fatto con conseguenze potenzialmente rilevanti anche per i consumatori. Vediamo perché.Se le ricadute sul settore si sono viste subito, con Eni che il 9 marzo ha perso quasi il 20% di capitalizzazione (http://bit.ly/2We8qZz), nel medio periodo vi sarà probabilmente un effetto sull’inflazione.

Infatti, poiché in Italia più di ¾ dell’energia proviene ancora da fonti fossili (http://bit.ly/2TYE5v3), è facile immaginare le ripercussioni di brusche variazioni dei prezzi dei combustibili sul resto della catena produttiva. Ne risentono nell’immediato i carburanti, poi le bollette, infine i trasporti: importanti voci di costo delle imprese.

Di conseguenza, le variazioni si riflettono poi sui beni di consumo, sebbene con un ritardo.Analizzando il grafico, il comportamento sopra descritto appare abbastanza evidente. Da un lato abbiamo (in blu) la variazione del prezzo del petrolio, molto più volatile, dall’altro (in verde) la variazione dei prezzi alla produzione, indicatore del riflesso sull’offerta. Emerge come l’indice reagisca quasi istantaneamente, seppur su scala diversa. Occorre infatti considerare che non tutti i costi sono relazionati all’input petrolifero o i suoi derivati. Infine, vi è il riflesso sull’inflazione generale (in giallo), che è molto meno volatile e reagisce con qualche mese di ritardo, il tempo necessario a modificare i prezzi a seconda dei costi delle nuove forniture.

Se le valutazioni del petrolio dovessero rimanere a questi livelli minimi, aspettiamoci dunque un calo dell’inflazione nei prossimi mesi, che unito alla contrazione della domanda dovuta alla pandemia in corso porterà probabilmente ad una recessione deflattiva non troppo dissimile da quella del 2013-14.

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