Articolo pubblicato su Business Insider

 Nel 1977, compare sul mercato il primo home computeracquistabile a un prezzo inferiore ai 600 dollari. Appena vent’anni dopo, nel 1997, la Ericsson introduce il termine “smart phone”. Se questa rivoluzione digitale è stata vissuta con stupore dai giovani e dagli adulti di allora, così non è stato per le generazioni nate dalla fine degli anni ‘80 in poi. Il web e gli strumenti a esso connessi, piuttosto, hanno accompagnato le vite dei cosiddetti nativi digitali sin dall’infanzia, senza rivoluzionare la loro quotidianità. Si è creata così una frattura generazionale nell’utilizzo e nelle modalità di approccio al digitale, riscontrabile ad esempio nei dati Istat che mostrano come oltre il 94% dei 15-24enni italiani usi Internet a fronte del 39,3% dei loro nonni, 65-74enni.

 Figura 1 – Persone di 14 anni e più che hanno usato internet negli ultimi 3 mesi, per tipo di strumento

Un elemento da non sottovalutare di questa frattura digitale, da un punto di vista culturale, è la messa in discussione della figura adulta: se prima era il punto di riferimento, colui (o colei) che dispensava conoscenze importanti acquisite con l’esperienza, ora vi sono ambiti per i quali certi tipi di esperienza si rivelano inutili e la conoscenza datata.

Questa precoce alfabetizzazione digitale ha inoltre creato una divisione importante anche per quello che riguarda il mondo del lavoro. Da un lato, vi sono coloro che hanno, in media, più facilità nell’apprendere le digital navigation skills, gruppi di competenze per riuscire a muoversi nel mondo digitale (come saper cercare e trovare informazioni, comprendere la veridicità e la fondatezza delle informazioni trovate), e devono essere formati per renderle spendibili. Dall’altro, invece coloro che si sono trovati a vita lavorativa già avviata in una condizione per cui le abilità acquisite e le nozioni studiate non erano più sufficienti a rendere il loro operato efficiente e competitivo.

Entrambe le necessità formative derivano dal cambiamento strutturale del mercato delle conoscenze che coinvolge i bisogni delle imprese e la domanda di capitale umano. Il report uscito a maggio 2019 per l’Ocse, Skills to shape a better future, ad esempio, individua i nuovi macro insiemi di competenze e conoscenze fondamentali per migliorare il benessere individuale, per rispondere alla nuova domanda da parte delle imprese.

La risposta a queste necessità deve essere duplice, seguendo la frattura generazionale già individuata:

  • se da una parte alle nuove generazioni va garantita la possibilità di formarsi e arrivare “digital ready” sul mercato del lavoro,
  • dall’altra parte si deve intervenire affinché sia possibile una riconversione delle competenze e un continuo aggiornamento formativo, in un’ottica di apprendimento durante tutto il corso di vita (il cosiddetto lifelong learning).

 Il ruolo della scuola

La prima parte di questo processo formativo va necessariamente affidata alla scuola, che deve essere pronta a farsi carico di questa nuova esigenza educativa. Le generazioni più giovani, infatti, usano gli strumenti digitali come elementi del quotidiano, una presenza fluida e pervasiva di ogni aspetto delle loro giornate. L’utilizzo dei device digitali non si apprende a seguito di una formazione specifica, ma ha piuttosto assunto l’accezione di una capacità di base, al pari della lettura e della scrittura. Questa premessa genera due diverse problematiche: in primo luogo – come avviene per la lettura e la scrittura – va seguita anche l’alfabetizzazione digitale di base, per evitare disomogeneità nelle competenze di partenza dovute a background disuguali. In secondo luogo, la dimestichezza nel mondo digitale, peculiarità delle generazioni più giovani, non implica di default una sufficiente competenza tecnica o una consapevolezza critica della potenza e dei limiti dello strumento. Rientrano in quest’ambito non solo le competenze di coding, ma anche la netiquette – o galateo del web -, il concetto di privacy e tutela dei dati (fondamentale, come abbiamo già avuto modo di sottolineare), la cyber security e la comprensione delle potenzialità dell’intelligenza artificiale.

La figura chiave in questo processo è l’insegnante, ruolo ancora ricoperto prevalentemente da individui appartenenti a generazioni che hanno sviluppato competenze digitali in età già adulta. Egli si trova si trova ad affrontare dunque sfide nuove, per le quali non sempre è preparato e delle quali i contenuti e gli strumenti non sono ancora stati ben definiti.

Il caso italiano

Un secondo report dell’Ocse, Thriving in a digital world, presenta una panoramica sullo stato delle competenze digitali dei paesi occidentali in relazione a tre dimensioni:

  1. competenze sulla digitalizzazione,
  2. esposizione digitale e
  3. politiche per le competenze.

Nello specifico, il caso italiano presenta evidenti criticità nella preparazione del capitale umano al mondo digitale. Se da un lato l’Italia si colloca al di sopra della media per quanto riguarda le competenze digitali dei giovani (il 3,2% ha scarse competenze digitali, a fronte dello 0,2% della Lituania e dell’11% della Turchia, rispettivamente migliore e peggiore performer), ottiene invece pessimi risultati se si considera la percentuale di individui che utilizza internet per attività complesse: solo il 36,6% rispetto alla media Ocse del 58,3%.

Figura 2 – percentuale di individui che utilizzano internet in modo complesso e diversificato (%)

Fonte: rielaborazione su Ocse ed Eurostat 2016

Inoltre, secondo il Digital economy and society index report del 2018 l’Italia è al quartultimo posto in Europa per livello di digitalizzazione dell’economia e della società, seguita solo da Bulgaria, Grecia e Romania. Anche un’indagine dell’Istat conferma che  la percentuale di utenti di internet tra i 16 e i 74 anni si ferma intorno al 69%, a fronte di una media europea dell’81%. Nonostante gli indici presentati siano di natura aggregata, alcune categorie, come le donne disoccupate o a basso livello di istruzione e gli stranieri, sono esposte in misura maggiore alle disuguaglianze digitali.

Inoltre, per quanto riguarda la scuola, circa il 75% degli insegnanti italiani dichiarano di aver bisogno di ulteriore formazione in materia di tecnologie dell’informazione e della comunicazione. A questo proposito, anche a livello europeo, alcune iniziative sono state implementate: ne è un esempio il progetto Mentep, finalizzato a proporre un sistema di auto-valutazione delle competenze di insegnamento attraverso strumenti digitali, con l’obiettivo di perfezionare l’utilizzo di tali competenze.

Cosa possiamo fare

Queste premesse ci pongono di fronte a due interrogativi differenti: in primo luogo, quali sono le azioni necessarie che, partendo da una base di conoscenze degli strumenti digitali, possono fornire ai giovani le competenze richieste dal mercato del lavoro? E, in secondo luogo, come sarà possibile garantire una formazione continua e sempre aggiornata in una realtà dinamica come quella attuale del mercato delle competenze?

L’Osservatorio delle competenze digitali 2017 presenta, oltre alle necessità di azioni per colmare il il gap sulle competenze digitali, anche alcune delle politiche messe in campo dagli ultimi governi volte a rilanciare il ruolo della scuola nella costruzione di competenze digitali.

Tre sono state le iniziative principali:

  1. la riforma della “Buona scuola”,
  2. il piano operativo nazionale ”Per la scuola – competenze e ambienti per l’apprendimento” e
  3. il Piano nazionale per la scuola digitale.

Le linee di intervento hanno previsto lo stanziamento di fondi per la dematerializzazione dei servizi, la strutturazione di ambienti per la didattica digitale e l’accesso a internet tramite banda larga a disposizione di tutti gli istituti scolastici (in virtù del “diritto a internet”), e la valutazione delle competenze digitali di base anche nei percorsi di formazione non prettamente informatici e scientifici. Queste misure che, oltre a definire obiettivi e azioni, prevedevano tempistiche precise di stanziamento di fondi, sembrano momentaneamente assenti dall’agenda dell’attuale governo.

Nonostante la confermata necessità di continuare a investire sul ruolo della scuola in questo ambito, il tema della digitalizzazione dell’ambiente scolastico e delle competenze digitali non compare nel contratto di governo in relazione alla scuola dell’obbligo, ma solo nel paragrafo dedicato all’università.

Inoltre, i finanziamenti previsti dal piano nazionale per la scuola digitale sono stati ridotti in maniera consistente: dei circa 500 milioni di fondi rimasti da utilizzare dalla riforma del 2015, ne sono stati stanziati fino ad ora solo 35.

La situazione di arretratezza in cui versa la preparazione digitale della popolazione italiana può essere quindi ricondotta a tre principali problemi del sistema formativo:

  • assenza di politiche efficaci e di sistema in tema di innovazione e formazione digitale;
  • assenza di investimenti significativi da parte degli attori di governance per intervenire sulle disuguaglianze digitali;
  • lacune del sistema scolastico, specialmente per quanto riguarda la scuola dell’obbligo, sia per assenza di personale formato sia per scarsa capacità di adattamento alle nuove necessità e richieste dell’ambiente esterno.

Il panorama appare desolante, e le priorità dell’agenda di governo in questo momento sembrano altre. Tuttavia, è importante non perdere di vista le necessità formative e i numerosi progetti virtuosi a livello europeo che, uniti a interventi significativi sulle politiche, fanno parte di quel processo che dovrà trasformare le nuove generazioni in capitale umano “digital-ready”.

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