Lo scorso novembre un gruppo di intellettuali tedeschi (tra cui Hans Eichel e Jurgen Habermas) ha lanciato un appello al governo Merkel per attuare una serie di riforme strutturali delle istituzioni europee, con lo scopo di sviluppare maggiore solidarietà fra gli stati membri e aumentare la coesione politica, sociale ed economica all’interno dell’Unione e, più specificatamente, dell’Eurozona. Secondo il gruppo infatti, la politica monetaria unica, da sola, “potrebbe indebolire i paesi più deboli e rafforzare ulteriormente quelli più forti. Perciò la nostra politica monetaria richiede stabilizzatori in grado di mitigare e compensare questi risultati. E questo richiede uno sforzo da parte di tutti”. Tale sforzo comune viene individuato principalmente in una politica precisa: un sussidio di disoccupazione europeo.

Il sussidio di disoccupazione europeo: perché?

La teoria economica ci viene incontro. Paul De Grauwe, professore di politica monetaria alla London School of Economics e massimo esperto delle unioni monetarie, ha identificato nel sussidio di disoccupazione europeo uno strumento formidabile per riequilibrare le economie dell’Eurozona. Il meccanismo è semplice: il grande problema dell’Eurozona, come abbiamo spiegato in diversi articoli (qui e qui), sono i cosiddetti “shocks asimmetrici”. Quando un paese membro è in recessione e un altro è in crescita sostenuta, un’unica politica monetaria non riesce a compensare gli squilibri fra le parti. È necessario perciò un sistema che sia in grado di trasferire risorse dal paese in crescita a quello in recessione, con lo scopo di ricreare convergenza fra le due economie. Teoricamente, una politica fiscale europea potrebbe avere una maggiore efficacia ma, politicamente, è molto difficile da costruire anche considerata la mancanza di fiducia degli stati nordici nei confronti di quelli mediterranei. Il sussidio, come sottolineato anche da un gruppo di economisti francesi e tedeschi, permetterebbe di superare questa diffidenza culturale e sarebbe un ottimo meccanismo di stabilizzazione macroeconomica.

Il funzionamento sarebbe molto semplice: quando un paese è colpito da uno shock economico ed entra in recessione il livello di disoccupazione aumenta (anche rispetto ai paesi non colpiti dalla recessione). Qui entrerebbe in gioco il sussidio europeo, che trasferirebbe risorse ai paesi in difficoltà. Tale politica, inoltre, potrebbe alleggerire anche il carico sulle spalle dei bilanci dei singoli paesi in difficoltà, peso che spesso porta a un circolo vizioso tra aumento del debito e mancata crescita (con il rischio di dare vita alle cosiddette profezie auto-avveranti sul debito).

Problemi e soluzioni

Visti quindi gli apparenti vantaggi di un sussidio di disoccupazione europeo, sorge spontanea una domanda: perché non viene adottato?

I problemi sono molteplici. Come menzionato, il più rilevante riguarda il timore dei paesi del Nord Europa di finanziare strutturalmente il sussidio di disoccupazione ai paesi mediterranei. Nei paesi del Sud Europa infatti, il tasso di disoccupazione è strutturalmente più elevato, come si evince dal grafico, e ci sarebbe la necessità di creare meccanismi e tecnicismi complessi per evitare il finanziamento strutturale del sussidio. Inoltre, i paesi caratterizzati da tassi di disoccupazione più elevati e di maggior durata sarebbero incentivati, sia nel breve che nel lungo periodo, a non implementare le riforme strutturali necessarie a mitigare questi problemi, facendo affidamento sul sussidio europeo, problema noto come azzardo morale.

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Fonte: Eurostat;

Se da un punto di vista di breve periodo ciò può essere vero, il problema nel lungo periodo non sembra sussistere: infatti, calibrando bene il meccanismo (come descritto in un paper di Andor, Dullien, Jara, Sutherland e Gros), indipendentemente dalla modalità con cui si contribuisce a questo schema, nel lungo periodo i costi dovuti a disoccupazione alta sono comunque a carico dei singoli stati membri, attraverso la loro partecipazione al fondo. In questo modo, il problema dell’azzardo morale sembrerebbe di secondaria importanza.

Infatti, lo stesso Olaf Scholz, ministro delle finanze tedesco, ha espresso il suo supporto per una politica simile nel 2018. Scholz, infatti, ha confermato che la Germania sarebbe stata una netta beneficiaria della maggiore stabilità proveniente da una politica simile e che il sistema di disoccupazione tedesco non sarebbe stato in alcun modo modificato. Il ministro ha dichiarato che sosterrebbe l’adozione in Europa di un sistema simile a quello statunitense, in cui gli stati individualmente finanziano il sussidio di disoccupazione pagandolo attraverso un fondo federale. In tempi di crisi, possono richiedere maggiori risorse in prestito da questo fondo, in modo da non gravare sulle casse federali. In questo modo, il problema dell’azzardo morale verrebbe diminuito ulteriormente.

Questa idea è stata sposata dalla Commissione europea, nello studio “A European unemployment benefit scheme”. I fondi europei per un sussidio di disoccupazione dovrebbero essere attivati solo al raggiungimento di una determinata soglia del tasso di disoccupazione. Ciò permetterebbe di aiutare i paesi in crisi, senza creare l’azzardo morale precedentemente menzionato. Inoltre, questa soglia dovrebbe riguardare le variazioni e non il livello del tasso di disoccupazione: in questo modo, anche i paesi con un tasso strutturalmente inferiore potrebbero giovare di questo meccanismo, come suggerito precedentemente dal Ministero dell’economia italiano.

Come sottolineato da una ricerca dell’Institut Delors, il livello di supporto politico per una proposta simile è differente da Paese a Paese. Nella ricerca infatti, sono state proposti ad un campione rappresentativo di intervistati sei pacchetti – con diversi gradi di generosità, riqualificazione e altre caratteristiche – per un sussidio di disoccupazione europeo. Se in Francia solo il 52,6% degli intervistati supporta più di tre pacchetti, in Ungheria e in Irlanda la percentuale sale rispettivamente al 75,7% e al 77,4%. I ricercatori individuano un pattern preciso: i paesi ricchi con un welfare state maturo (Germania, Francia, Belgio, Danimarca e Olanda) presentano meno supporto. La percentuale è considerevolmente più alta per i paesi più poveri del vecchio continente (Ungheria ed Estonia) e per i paesi maggiormente colpiti dalla crisi dell’Eurozona (Italia, Spagna e Irlanda).

Nonostante la differente sensibilità tra i paesi dell’Unione Europea, secondo la ricerca i cittadini sembrano preferire pacchetti più generosi, che prevedono l’offerta di educazione o di riqualificazione professionale, senza aumentare il livello di tassazione ed erogati sulla base di alcune condizioni (l’obbligo di accettare il lavoro offerto, per esempio). Inoltre, la maggior parte degli intervistati preferisce l’implementazione di un sistema decentralizzato.

Conclusione

Le proposte in gioco sono tante e tutte puntano a una maggiore convergenza sociale ed economica fra i paesi e i cittadini dell’Unione Europea. Una maggiore coesione è necessaria per preservare queste istituzioni e questi diritti, conquistati da una generazione nata fra conflitti e dittature. Per preservare l’Europa, è necessario preservare i suoi cittadini. Il sussidio di disoccupazione europeo sarebbe, a nostro avviso, una risposta intelligente ed efficace.

Da un punto di vista tecnico, le analisi contenute nel paper della Commissione mostrano come la capacità di aumentare il tasso di convergenza tra paesi coinvolti è fondamentale. Considerando il moltiplicatore fiscale associato a ogni euro speso in sussidi di disoccupazione, diversi studi menzionati nel report – basati su dati e stime europee – mostrano come esso sia stabilmente superiore ad 1, se non all’incirca pari a 1,5. Se, come sottolineato dallo studio della Commissione Europea, i moltiplicatori fiscali relativi ai sussidi di disoccupazione sono significativamente positivi e i sussidi possono agevolare un processo di convergenza effettivo, è evidente che una politica simile possa avere un impatto positivo in Europa, sia sotto l’aspetto economico (lotta alla povertà e meccanismo di stabilizzazione anticiclico) sia sotto quello politico, in termini di presenza dell’Ue nella vita dei cittadini.

Certo, non mancano le criticità, ma crediamo sia possibile ideare una politica efficiente e sostenibile con lo sforzo di tutti i paesi membri, gettando il cuore oltre l’ostacolo. D’altronde, fino a qualche decennio fa l’Europa unita e in pace sembrava solo un’utopia.

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