Hanno lavorato al report: Benedetta Annicchiarico, Elia Bidut, Lorenzo Borga, Nicola Ceschin e Andrea Chiantello

Introduzione

La “digitalizzazione” è un tema sempre più presente nel dibattito pubblico ed è diventata un’area prioritaria d’intervento che raccoglie il supporto di diverse forze politiche. Questo perché l’opinione pubblica sembra aver ben assimilato almeno due concetti:

1) L’Italia soffre di un ritardo strutturale a livello digitale rispetto agli altri paesi con un comparabile livello di sviluppo;

2) Rendere i processi più efficienti attraverso l’adozione di nuove soluzioni tecnologiche favorisce la crescita economica, aumentando il benessere della società.

La consapevolezza di questi due fatti è stata probabilmente rafforzata dall’esperienza del lockdown, che se da un lato ha dimostrato tutte le potenzialità degli strumenti digitali, dall’altro ha evidenziato tutte carenze di cui il nostro paese soffre in quest’ambito.

Parlare di digitale oggi vuol dire parlare di dati e di tecnologie per trasmetterli, in volumi massicci e a grande velocità. In Italia, la trasmissione di dati (consideriamo Internet, banalmente) si basa da sempre sulla “vecchia” rete telefonica in rame, di proprietà di Tim, l’unica infrastruttura di telecomunicazione fissa presente nel nostro paese. Questa tecnologia presenta però forti limitazioni sulla velocità di trasporto dei dati e nel tempo si è rivelata sempre più inadeguata di fronte all’aumentare dei volumi di traffico. Da alcuni anni a questa parte però, in Italia si stanno registrando investimenti significativi nella costruzione di un’altra rete, in una tecnologia più moderna, capace di fornire velocità di connessione estremamente superiori a quelle della rete in rame e con minori costi di gestione: la fibra ottica. Da monopolio, l’infrastruttura di Tim sta ora conoscendo per la prima volta dinamiche di concorrenza, con due società, Open Fiber e FlashFiber (joint venture fra Tim stessa e Fastweb) che stanno posando i proprio cavi in fibra lungo tutta la penisola.

Di fronte a questo scenario, si pone il tema della “rete unica”. L’Italia sta conoscendo uno sviluppo senza precedenti in termini di accesso e velocità di connessione, ma molti sostengono che per accelerare questo processo, dando così un impulso ancora maggiore alla digitalizzazione, la concorrenza a livello dell’infrastruttura non serva e si debba invece unificare tutte le reti esistenti in un unico soggetto per “unire gli sforzi”. Non è la prima volta che la rete unica viene proposta, ma ora Tim ha presentato un piano concreto per sviluppare il progetto e il governo ha appoggiato l’inziativa ergendola a architrave fondamentale della sua strategia per la digitalizzazione del paese. Il tema può sembrare tecnico, ma le ricadute dell’esito dell’operazione per cittadini e imprese sono molto più dirette e significative di quanto si creda.

Allo stesso tempo, è importante chiedersi però quale sia il fattore principale che trattiene l’Italia tanto in basso nelle classifiche internazionali sulla connettività. Alcuni dati sembrano infatti suggerire che più che un problema di offerta di servizi di connessione si tratti di mancanza di domanda. Ovvero, anche avendo a disposizione una velocità di connessione più alta, cittadini e imprese non dispongono delle competenze necessarie per sfruttarla a pieno. Se ciò fosse vero, è evidente che la proposta ad impatto maggiore per lo sviluppo del digitale nel nostro paese sarebbe quella di lavorare sulle conoscenze tecnologiche delle persone, prima di pensare a intervenire sull’infrastruttura.

Il breve report che proponiamo di seguito è nato da due articoli pubblicati da Tortuga su Econopoly (Il Sole 24 Ore) e si propone di far luce sul dibattito sulla rete unica (Capitolo 1) e di tracciare una panoramica delle competenze digitali in Italia (Capitolo 2), al fine di capire quali siano le aree di intervento prioritarie per accelerare lo sviluppo del digitale nel nostro paese.

Redazione

Author Redazione

More posts by Redazione