Pubblichiamo di seguito il contributo di Luca Mariani (dottorando in economia all’Università di Perugia) e Davide Ricci (dottorando in scienza, tecnologia e società alla IUSS di Pavia), finalisti della categoria senior nell’edizione 2023 della Tortuga Call for Policy Papers. La Tortuga Call for Policy Papers è il concorso di policy brief lanciato da Tortuga e rivolto a studenti e studentesse di magistrale e ultimo anno di triennale, e giovani ricercatori e ricercatrici. L’obiettivo è individuare alcune proposte di policy di potenziale impatto per lo scenario italiano e raccogliere idee dalle nuove generazioni.


Sintesi

  • Le comunità energetiche rinnovabili (CER) sono uno strumento di sviluppo locale sostenibile dal potenziale ancora inespresso.
  • Le università italiane, alla luce della loro posizione centrale nello sviluppo delle comunità locale, possono fare da capofila nella diffusione su larga scala delle CER.
  • Inserendole nel framework teorico dell’economia istituzionale, le università posso promuovere la nascita di nuove CER con l’obiettivo di fronteggiare il cambiamento climatico e le diseguaglianze.
  • Dalla nostra analisi, si evince una relazione positiva tra produzione rinnovabile e numero di borse di studio, che può evidenziare come investire ulteriormente sulle rinnovabili possa creare benefici alle comunità locali (in particolare quelle studentesche).
  • Visti i presupposti teorici e le conclusioni tratte dai dati, la nostra proposta di policy evidenzia come un aumento dei fondi per le università e l’istruzione possa avere effetti positivi sulle comunità in cui gli atenei sono coinvolti.

Lo stato dell’arte delle CER

Le comunità energetiche rinnovabili (CER) sono delle configurazioni virtuali di utenti che volontariamente condividono, scambiano, producono e consumano energia rinnovabile con l’obiettivo di generare benefici ambientali e sociali piuttosto che profitti finanziari. Queste, nonostante le vantaggiose tariffe incentivanti riconosciute, rappresentano un driver di sviluppo energetico locale ancora inespresso che vanta ad oggi una ristretta nicchia di applicazioni nei principali mercati europei dell’energia. I dati a livello comunitario parlano chiaro: delle oltre 9.000 comunità energetiche attive in Europa, oltre la metà sono situate in Germania (più di 4800), seguita da Paesi Bassi (circa 900) e Danimarca (circa 700). In Italia, nel 2022, si contano appena 198 comunità energetiche di cui 100 rinnovabili e, di queste, soltanto 35 operative. Sembra chiaro quindi quanto i contesti politici nazionali svolgano un ruolo chiave nello sviluppo della loro diffusione.

Nel nostro paese, la lunga attesa del cosiddetto decreto “sblocco” da parte dell’autorità l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA), per superare il vincolo di appartenenza dei membri di una stessa comunità al perimetro delimitato dalla cabina secondaria (sottostazione di trasformazione di corrente media tensione-bassa tensione), ha costituito il principale ostacolo tecnico alla loro diffusione. Sul fronte normativo invece, la giurisprudenza dei singoli casi sta facendo da apriporta per un’audace lotta alla povertà energetica: lo dimostra il recente caso della CER di Castelnuovo Forru che ha definitivamente fatto chiarezza sul regime fiscale delle CER costituite come enti non commerciali, per cui gli incentivi incassati sono esenti dalla tassazione, mentre solo l’energia immessa in rete è rilevante dal punto di vista fiscale.

Le università italiane e le CER: una proposta

Mentre sul fronte pratico lo sviluppo di esperienze di CER è ascrivibile a isolati progetti d’avanguardia, sul lato accademico il dibattito abbonda di discussioni teoriche e simulazioni economiche sui loro impatti in termini di sviluppo sostenibile. Muovendosi sulla scia della letteratura corrente, l’obiettivo è quello di portare al centro della questione energetica le università pubbliche italiane indagando il ruolo che queste potrebbero ricoprire nel contesto di transizione, mettendo in luce le (poche) criticità ed i (molti) benefici del modello CER. Le università potrebbero essere potenziali leader capaci di guidare una transizione equa e sostenibile, rivestendo un ruolo ben descritto nel framework teorico dell’economia istituzionale considerato che, citando un articolo di W. M. Purcell del 2019, “…[Le università] svolgono un ruolo critico nel contribuire a plasmare nuovi modi per il mondo, educando cittadini globali e diffondendo conoscenza”.

Fra tutti i ruoli di cui le università possono farsi carico nell’affrontare la transizione in maniera efficace, la soluzione più responsabile sarebbe un coinvolgimento diretto nelle CER, nell’ambito della Terza Missione. Le CER infatti, nate dall’esigenza di accorciare la filiera di distribuzione dell’energia massimizzando l’autoconsumo zonale distribuito, possono beneficiare di un incentivo economico statale sulla quota di energia condivisa fra i membri (minimo orario tra l’energia effettivamente prodotta e il carico cumulato) rappresentando di fatto uno strumento in grado di redistribuire ricchezza (senza fini lucrativi), promuovendo al contempo la produzione e il consumo di energia pulita. Tuttavia, questo autoconsumo incentivato rende necessaria la sua costante massimizzazione. Da qui il problema: per massimizzare i benefici una comunità dovrà condividere la quantità massima di energia ma, considerata l’aleatorietà dell’offerta di rinnovabili e il comportamento imprevedibile dei consumatori, il payback economico finale risulterà sempre incerto. Ecco che la difficoltà di massimizzare la quota di energia condivisa fra i membri (coordinare prelievi di utenti diversi all’interno di una stessa CER) si scontra con una tariffa premio apparentemente più vantaggiosa (~0,118 €/kWh) delle alternative esistenti già previste dal GSE per le rinnovabili “Scambio sul Posto” (~ 0,10 €/kWh) e “Ritiro Dedicato” (~0,05 €/kWh). Come possono agenti molto diversi tra loro coordinarsi e trarre il massimo beneficio dagli incentivi statali?

È qui che le università possono inserirsi e facilitare questo processo: coordinando i membri nei loro comportamenti di consumo e massimizzando la quantità di energia condivisa, riducendo i costi di coordinamento fra essi e di conseguenza l’incertezza (non prima di aver condotto uno studio sulla sua potenziale capacità di produzione di energia, in modo da stimare i benefici economici su una produzione quanto più attendibile).

Il ruolo delle istituzioni intermedie

Per capire come possa avvenire questo passaggio, è necessario contestualizzare le CER sul fronte dell’economia istituzionale; un ramo sviluppato dopo gli studi fondanti di Elinor Ostrom e Oliver Williamson e ulteriormente analizzato da Claude Ménard, il quale ha introdotto il concetto di meso-istituzioni come “organizzazioni attraverso le quali regole e diritti vengono interpretati e attuati, delimitando così il campo delle possibili transazioni tra le parti interessate“. Queste possono ottimizzare le prestazioni, fornire feedback ai decisori politici e coordinare gli agenti riducendo i costi di transazione che ne derivano: elementi chiave del coordinamento e della cooperazione necessari al funzionamento ottimale del sistema CER. Se con l’avanzamento delle tecnologie rinnovabili il sistema energetico nazionale si sta spostando verso la decentralizzazione, con l’aiuto delle CER in qualità di meso-istituzioni, la transizione energetica può essere finalmente guidata dal basso attraverso micro-istituzioni locali capaci di creare reti autogestite di distribuzione energetica. Ecco che le università, dovendo coordinare la produzione e il consumo di energia, potrebbero intervenire come ottimizzatori di modelli esistenti e/o promotori di nuove CER nei territori con il compito finale di coinvolgere nuovi membri, partecipare come produttori, consumatori, o produttori/consumatori (prosumer) e sensibilizzare sulla transizione energetica.

Qui risiede la novità: il potenziale successo delle CER attraverso incentivi monetari farà da ricompensa da distribuire dalle università agli studenti tramite nuove borse di studio e come benefici alle comunità stesse. In tal modo, le università si fanno promotrici di un ciclo virtuoso provando a fronteggiare il cambiamento climatico e le diseguaglianze, promuovendo al contempo cultura e ricerca ambientale. Alla luce di questo riteniamo opportuno che, contrariamente a quanto accaduto negli ultimi decenni con il finanziamento delle università italiane, sarebbe quanto più opportuno coinvolgere proattivamente le università nelle CER (preferibilmente come prosumers, in grado di installare nuova potenza rinnovabile sui propri edifici e condividere l’energia con le rispettive comunità locali) come in alcuni casi sta già iniziando ad accadere.

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