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L’inflazione che continua a crescere, il dollaro che si apprezza e i disastri del governo britannico – oltre alla guerra in Ucraina – sono il cocktail che ha portato i mercati fronteggiare la peggior crisi dal 2008. Ecco come ci siamo entrati e come se ne può uscire.

I mercati finanziari mondiali stanno attraversando il periodo peggiore dalla crisi finanziaria del 2008. Con l’inflazione che persiste, continuano a scontare la prospettiva di nuovi aumenti dei tassi d’interesse. Il decennale americano ha raggiunto il 4% di rendimento nell’ultima settimana, il livello più alto dal 2010.

Il dollaro americano continua ad apprezzarsi nei confronti delle altre valute. Questo è in parte dovuto alla Federal Reserve, che sta aumentando i tassi d’interesse per far fronte a un’inflazione che sta logorando il cittadino e il risparmiatore americano. E si sta muovendo molto più rapidamente di quanto facciano le altre banche centrali del mondo per fronteggiare gli stessi problemi, in parte perché gli investitori si stanno liberando degli asset considerati più rischiosi per comprarne altri denominati in dollari americani, considerati invece molto più sicuri (“safe asset”).

Nonostante siano gli Stati Uniti il Paese con le politiche monetarie più restrittive, tali politiche producono i loro effetti più dirompenti nel resto del mondo: siccome la maggior parte delle materie prime è prezzata in dollari, i Paesi considerati importatori netti di energia e materie prime (tra cui l’Unione Europea) subiscono un aumento dei prezzi, che già sono alti, per via del cambio svantaggioso.

Tra le valute che stanno riportando la performance peggiore nei confronti del dollaro americano c’è sicuramente la sterlina inglese, la quale, visti gli avvenimenti dell’ultima settimana, merita una menzione a parte. A seguito dell’annuncio (poi ritirato) di un maxi-taglio delle imposte finanziato interamente con deficit pubblico, gli investitori hanno iniziato a vendere in massa titoli di stato britannici, causando un improvviso rialzo dei tassi d’interesse, con conseguente crollo del prezzo di tali titoli.

Il ruolo fondamentale è stato giocato dai cosiddetti fondi pensione LDI (Liability Driven Investing, ossia investimento guidato dalle passività): si tratta di fondi che eguagliano i frutti degli investimenti con passività future dal punto di vista del fondo stesso (le pensioni). In questo modo, tali fondi assumono su di sé il rischio d’investimento al fine di garantire ai pensionandi una rendita futura garantita e indipendente dalle fluttuazioni dei mercati. Riescono a farlo tramite la sottoscrizione di titoli di Stato con scadenza pari al flusso di pensioni da versare, il cui importo è prestabilito all’inizio del rapporto tra fondo e lavoratore.

Col tempo, però, per garantire tali rendimenti, i fondi LDI hanno iniziato a utilizzare anche strumenti derivati particolarmente sofisticati come gli interest rate swap, i quali vengono sottoscritti con una controparte che paga un rendimento precedentemente fissato dietro il versamento di un margine alla sottoscrizione dello swap e dei versamenti ulteriori che il fondo verserà a seconda dell’oscillazione dei rendimenti: se i rendimenti salgono, il fondo pensione dovrà pagare la controparte; se scendono, sarà la controparte a pagare il fondo.

A causa dell’improvviso aumento dei rendimenti, dovuti per la maggior parte al piano del governo Truss, i fondi pensione hanno dovuto pagare somme crescenti di denaro. Questo li ha costretti a vendere titoli di stato, deprimendone ulteriormente il prezzo e aumentandone i rendimenti. La Bank of England è quindi dovuta intervenire per appiattire la curva dei rendimenti, avviando un piano di acquisto di titoli di stato da 65 miliardi di sterline in due settimane.

Ciò a cui si è assistito in Regno Unito è valso quindi come prova di quanto sia pericoloso finanziare spesa pubblica a deficit in un periodo in cui le banche centrali stanno cercando di riportare sotto controllo l’inflazione a colpi di rialzi di tassi d’interesse. Se la leva fiscale viene utilizzata in un momento in cui la leva monetaria va in direzione contraria, può accadere che gli agenti economici dubitino della sostenibilità del bilancio pubblico di un paese, con pesanti rischi per i cittadini – non solo del Regno Unito, poiché i fondi pensione di tutto il mondo hanno in portafoglio titoli di stato emessi da Paesi di tutto il mondo.

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