Articolo pubblicato su Business Insider Italia

La diffusione del Coronavirus ha portato cittadini e decisori politici ad affrontare una circostanza senza precedenti nella storia recente: una crisi di duplice impatto sull’economia, uno shock di domanda e uno d’offerta. Per ritrovare un avvenimento paragonabile, infatti, bisogna tornare alla crisi petrolifera degli anni Settanta.

Nel caso del Covid-19, è presumibile che questo doppio shock sul fronte della domanda, diminuirà sia consumi che investimenti. In linea teorica, il crollo dei primi è dovuto principalmente a due fattori. Da una parte, una minore propensione al consumo legata alla maggiore incertezza verso il futuro. Dall’altra, una maggiore difficoltà nell’effettuare vari tipi di acquisti viste le misure restrittive imposte dai governi, tra cui la chiusura delle attività commerciali e l’invito a non uscire di casa. Il calo degli investimenti è invece spiegato dal peggioramento delle aspettative di rendimenti futuri e da una maggiore preferenza per la liquidità.

D’altro canto, sul lato dell’offerta si assiste a una brusca interruzione della produzione, confermata dalle dichiarazioni di Conte del 21 marzo. Questa deriva sia dalla riduzione dell’offerta di lavoro (impossibilità o difficoltà nel recarsi sul luogo di lavoro) che, soprattutto, dalla rottura delle catene globali del valore, come segnalato dall’Harvard business review.

Il governo italiano con il decreto del 16 marzo è intervenuto a sostegno dei redditi di famiglie e imprese con uno stanziamento di 25 miliardi di euro (di cui 5 sono garanzie non contabilizzate nel deficit), una cifra consistente, quasi pari all’ultima legge di bilancio che ammontava a circa 37 miliardi. È atteso un ulteriore stanziamento per il mese di aprile che coinvolga anche le risorse in arrivo annunciate dalla Commissione Europea. Oltre a misure target per le famiglie che coinvolgono voucher baby sitter e congedi parentali riformulati, non manca il cruciale sostegno al sistema sanitario e alla protezione civile, che ricevono risorse per 3,5 miliardi a fronte di 1,7 miliardi ricevuti con la scorsa legge di bilancio.

Tra le proposte a sostegno dei lavoratori c’è l’istituzione di un fondo di 300 milioni per il 2020 per il cosiddetto “reddito di ultima istanza” per lavoratori dipendenti e autonomi danneggiati dal Covid, che abbiano cioè cessato, ridotto o sospeso la propria attività di lavoro a cause della diffusione del contagio. È prevista per questa categoria un’indennità per tutto il 2020 stabilita in base al numero dei soggetti della categoria nei limiti di 200 milioni di spesa. Al momento non è chiaro se il beneficio sia soggetto a condizionalità.

È prevista inoltre una tantum di 600 euro per i lavoratori autonomi e stagionali per il mese di marzo. A questo proposito sarebbe auspicabile un aumento del sostegno ai lavoratori autonomi, che in Italia ammontano a 5,3 milioni e rappresentano il 23,2% degli occupati, al di sopra della media europea del 15,7%.

A questo proposito sembra che il governo si sia affidato al buon senso dei beneficiari non in difficoltà e alla loro astensione dal richiedere il bonus. Non è sufficiente, sarebbe auspicabile una selezione per settore o per fatturato. Inoltre con queste disposizioni, gli autonomi ricevono molto meno rispetto ai beneficiari della cassa integrazione, la cui platea è stata estesa ad aziende con meno di 5 dipendenti. Infine, i dipendenti con reddito complessivo di importo non superiore a 40.000 euro che abbiano lavorato in sede spetta un premio, per il mese di marzo 2020, pari a 100 euro. Misura di nuovo ad esclusione degli autonomi e di difficile interpretazione, forse pensata come ulteriore premio per i settori come quello sanitario e dei trasporti che non hanno smesso di lavorare nonostante le difficoltà.

A sostegno delle imprese, la scadenza per la predisposizione degli F24 per saldo Iva, liquidazione Iva mensile, ritenute e contributi dei dipendenti e accise è prorogata dal 16 marzo al 31 maggio per le imprese che fatturano fino a 2 milioni e anche oltre questo limite per le categorie colpite direttamente dalla crisi (turismo, trasporti, ristorazione, cinema e teatri, sport, istruzione, fiere ed eventi). A questo proposito i tempi sono comunque stretti e rendono difficile per le imprese qualsiasi tipo di programmazione. Nella migliore delle ipotesi, nel mese di maggio la ripresa delle attività potrebbe essere solo agli inizi e sarebbe quindi preferibile posticipare i versamenti alla fine del 2020.

Inoltre, a supporto delle Pmi, che in Italia costituiscono quasi l’80% del tessuto produttivo, al fondo centrale di garanzia Pmi sono dedicati 1,5 miliardi di euro per il 2020 ed è concessa per i prossimi 9 mesi la garanzia a titolo gratuito di prestiti e mutui per un massimo di 5 milioni per impresa. Per le imprese medie invece è dedicato un percorso diverso con Cassa depositi e prestiti e una garanzia di 500 milioni. Queste risorse, specialmente dopo l’annuncio della chiusura di tutte le attività produttive non essenziali, potrebbero non essere sufficienti e sono attualmente oggetto di trattative con le parti sociali.

Complessivamente, il decreto si muove verso la direzione auspicata, tuttavia, mancano misure a sostegno del terzo settore e a sostegno dei disoccupati, che a causa del Covid potrebbero essere ulteriormente in difficoltà nel trovare un impiego.

Per rendere le misure adottate fino ad ora più robuste, sono necessarie più risorse. La strada di strumenti di indebitamento ad hoc come i corona bond o strumenti di condivisione dei rischi a livello europeo come gli eurobonds, appaiono in questo momento di difficile utilizzo per motivi politici. Una surroga in questo senso potrebbe essere l’utilizzo del Mes in qualità di prestito emergenziale a cui in questo caso dovrebbero essere tolte tutte le misure di condizionalità, vale a dire disancorare l’accesso al prestito dalla firma di un memorandum che descriva le prospettive di consolidamento fiscale. Il Mes infatti si finanzia con obbligazioni proprie e gli Stati membri intervengono come garanti solo nel caso in cui chi ha ricevuto il prestito non sia in grado restituirlo.

Infine è importante riflettere sul fatto che gli interventi del governo agiscono a sostegno della domanda nel breve periodo ma rimane il problema di catene produttive non robuste a shock d’offerta di questo tipo. Queste misure infatti non possono agevolare in alcun modo l’approvvigionamento da parte delle aziende occidentali delle componenti necessarie per continuare la propria attività, soprattutto se ai fornitori viene fisicamente impedito di produrre tali componenti a causa di restrizioni governative. Una compromissione delle catene di valore globali può essere affrontata con interventi di modifica nella gestione della propria catena di fornitori da parte delle imprese, al fine di mantenere sotto controllo lo shock sui loro livelli di produzione.

Se da un lato la riduzione della produzione comporta un naturale aumento dei prezzi, dall’altro lato la depressione della domanda ha un effetto contrario ed è difficile prevedere quale dei due prevarrà. In questo scenario ciò che serve è mantenere in salute lo stato di liquidità con trasferimenti straordinari a famiglie e imprese. Affinché questo avvenga occorre un coordinamento di politica monetaria e fiscale, di banche centrali e governi, nonché un ripensamento della struttura delle catene produttive da parte delle imprese verso una maggiore diversificazione.


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