Articolo scritto per Business Insider

La notizia riguardante il primato dell’isolamento del Coronavirus da parte di 3 ricercatrici dello Spallanzani di Roma è stata oggetto di vanto su molte testate nazionali. Almeno fino a quando non è stata correttamente rettificata. Anche il Presidente Mattarella nel 2018 aveva ricordato che il Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) rappresenta una “pagina ampiamente positiva che ci pone davvero all’avanguardia della Comunità internazionale, e dobbiamo mantenere e sempre più migliorare questa condizione”. Nonostante ciò, la ricerca clinica in Italia è fortemente trascurata.

Secondo l’ultimo rapporto Anvur 2018, l’ammontare destinato alla ricerca in Italia nel 2018 era pari all’1,32% del Pil, al di sotto della media dei paesi Ocse e dei paesi europei, rispettivamente al 2,36% e al 1,95%.

Di queste risorse l’Italia riserva circa il 20% alla ricerca medica. Nel 2018 i fondi complessivi destinati alla ricerca ammontavano a circa 2,3 miliardi di euro, circa 406 euro per abitante, contro la media europea di 656 euro. Nel 2020 saranno 2,7 miliardi, tuttavia permane un sistema di assegnazione delle risorse incostante e “a pioggia”, in cui solo una piccola parte dei finanziamenti viene assegnata per merito.

Ma non sono solo i numeri a far discutere. La struttura di erogazione di risorse, specialmente per la ricerca clinica, è frammentata e poco efficiente.
La ricerca medica coinvolge università e altri enti pubblici e privati, tra cui gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs), che svolgono ricerca di alta specializzazione e applicazione terapeutica negli ospedali e hanno per questo motivo un ruolo fondamentale. Il Miur e il Ministero della salute sostengono più del 75% delle loro spese, di cui il 70% si realizza in fondi erogati su base ricorrente tramite il fondo di finanziamento ordinario per le università (FFO) e il fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca (FOE). La restante parte delle risorse è raccolta dal fondo per gli investimenti nella ricerca Scientifica e Tecnologica (FIRST) e dai progetti di rilevante interesse nazionale (PRIN). Questi finanziano la maggior parte dei progetti di ricerca medica attraverso bandi competitivi, che però sono emessi in modo incostante e senza una prevedile regolarità.

Per il settennio 2014-2020 sono stati messi a disposizione 80 miliardi di euro dall’Unione Europea tramite il programma quadro Horizon 2020, tuttavia anche in questo caso non sono mancate le criticità.

L’Italia infatti per ogni euro investito ha ricevuto in media 0,69 euro in finanziamenti. La perdita netta stimata è maggiore a un miliardo di euro ed è dovuta ai bassi tassi di successo dei progetti presentati, abbinati però a un incremento della performance della ricerca targata Italia. Ciò è dovuto al fatto che nella valutazione sono considerati progetti a bandiera italiana quelli che coinvolgono almeno un ricercatore italiano, non quelli svolti in un laboratorio nazionale. Perciò i talenti ci sono ma il paese è incapace di trattenerli, i progetti brillanti volano all’estero e il tasso di successo dei progetti nazionali scende.

Secondo uno studio di European House Ambrosetti, in Italia sussistono ancora molti limiti di natura burocratica: sono necessarie 17 settimane per avviare uno studio clinico contro le 5 del Regno Unito e le 9 della Germania. Inoltre, la rete degli attori coinvolti è complessa e richiede diversi passaggi di approvazione dei progetti in cui ospedali e comitati etici operano sulla base di modelli di valutazione non standardizzati.

Un problema dalle molte conseguenze

Se uno studente sa che fare ricerca in Italia è difficile, che i salari attesi sono bassi, che la libertà nei progetti di ricerca (quando ci sono) è poca, è più probabile che continuerà la sua formazione e carriera in un paese estero. Uno studente che, sebbene abbia beneficiato dell’istruzione italiana, non contribuirà al sistema economico. Questo è Il problema del “Brain-drain”, la fuga di cervelli, che come abbiamo illustrato nel nostro libro “Ci pensiamo Noi” e nel nostro report “Mamma ho perso l’aereo”, costa all’Italia 5,6 mld all’anno. Un’emorragia di talento che foraggia la concorrenza estera in un settore di punta dell’economi italiana e danneggia l’industria medico-farmaceutica, dove la qualità del capitale umano è il primo fattore di competitività secondo uno studio Farmaindustria. Infine, vi è il rischio di mettere a repentaglio la qualità del Servizio Sanitario Nazionale. Di fronte a sfide sempre più complesse – come la resistenza antibiotica, i tumori, la gestione delle malattie croniche – la ricerca potrebbe aprire a nuove soluzioni.

Un’agenzia che arriva in ritardo

Per provare a mettere ordine tra il complesso sistema di finanziamenti e implementare progetti strategici che coinvolgano più ambiti di ricerca, con l’approvazione della legge di bilancio 2020 è stata istituita l’Agenzia nazionale per la Ricerca (Anr) a cui sono state assegnate tre diverse funzioni:

  1. erogazione dei finanziamenti,
  2. valutazione dell’attività di ricerca
  3. e semplificazione delle procedure amministrative e contabili.

L’obiettivo complessivo sarebbe quello di gestire meglio le risorse disponibili, le quali per l’Anr ammontano a 200 milioni per il 2021 e 300 milioni l’anno dal 2022 in poi, premiando progetti strategici  caratterizzati da un forte grado di innovatività.

La comunità scientifica italiana ha ripetutamente espresso la necessità di un’agenzia che coordini la ricerca nel paese, come avviene negli altri principali paesi europei. In particolare sono stati ribaditi il bisogno di più certezza e regolarità nelle aperture e chiusure dei bandi, di più uniformità nei criteri di valutazione dei progetti e dei finanziamenti e di evitare sovrapposizioni inutili tra i vari ministeri.  Le agenzie nazionali inoltre sono enti indipendenti volte a garantire l’equità nel processo di selezione dei progetti, impedendo favoritismi e personalismi nei finanziamenti.

Ad ogni modo, non mancano le perplessità sull’attuale impostazione dell’Anr. I direttori del comitato direttivo vengono infatti preselezionati tra studiosi in materie scientifiche da una commissione di  esponenti politici che si teme possano influenzare l’assegnazione dei progetti.

In secondo luogo, la valutazione dell’attività di ricerca viene già svolta dall’Anvur, e la valutazione dell’Anr vi si andrebbe inutilmente a sovrapporre, sprecando risorse e complicando i processi di valutazione. Per questo riteniamo che un’ottimizzazione dei processi possa essere raggiunta tramite una fusione delle due realtà.

Ricerca: una parola dimenticata

Al di là delle motivazioni economiche, investire nella ricerca significa investire sul futuro e nei giovani, nelle loro competenze e capacità. La ricerca medica in Italia è uno dei vanti del nostro sistema sanitario, ma i dati sono chiari: gli investimenti sono insufficienti e gli strumenti complessi.

Come rimediare?

  • Primo: spendere di più e meglio.
  • Secondo: rendere più semplici ed efficienti gli strumenti.

La parola ricerca è uscita dalle priorità degli ultimi governi, con sostanziali tagli da parte di svariate forze politiche. Tortuga crede invece che proprio ricerca, istruzione e giovani siano gli elementi che debbano essere rimessi al centro del dibattito, al centro delle soluzioni.

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