Executive Summary

L’obiettivo di questo report è quello di contribuire al dibattito pubblico contemporaneo riguardo le possibili conseguenze di un’eventuale uscita dell’Italia dall’euro. Le convulse dinamiche politiche italiane dell’ultimo decennio e le complesse relazioni con e tra le istituzioni europee hanno infatti lasciato spazio a questa posizione che, per quanto apparentemente irrealizzabile, ad oggi sembra essere sostenuta anche da alcuni tra i componenti della maggioranza di Governo. Da speculazione teorica, l’uscita dell’Italia dall’euro è dunque diventata scenario ipoteticamente realizzabile. Per questo motivo è assolutamente necessario ponderare con estrema attenzione tutti quegli gli aspetti che una simile eventualità potrebbe comportare. Il dibattito pubblico odierno, infatti, troppo spesso finisce per polarizzarsi intorno a mezze verità.

La Bilancia Commerciale

Coloro che auspicano un’uscita dell’Italia dall’Euro spesso identificano come uno dei suoi principali vantaggi gli effetti positivi che essa comporterebbe per la bilancia commerciale del nostro Paese. Ma siamo proprio sicuri che una “svalutazione competitiva” negli anni 20 del duemila sia una strategia vincente? Nel corso degli ultimi trent’anni, infatti, le condizioni dell’economia globale all’interno delle quali il nostro Paese opera sono cambiate considerevolmente. Beni intermedi prodotti all’estero, spesso più convenienti, sono entrati in maniera sempre più preponderante all’interno dei processi di produzione domestica dei paesi più sviluppati, un fenomeno conosciuto come “Global Value Chains” (GVCs). Ad oggi, quindi, a seguito di una svalutazione competitiva, la bilancia commerciale italiana vedrebbe sì aumentare la domanda di esportazioni di prodotti finiti, ma i vantaggi derivanti da quest’ultima verrebbero quasi certamente erosi da una domanda di esportazioni di beni intermedi praticamente invariata (almeno nel breve periodo) e un aumento cospicuo dei prezzi delle importazioni dei beni intermedi inglobati all’interno dei processi di produzione domestica.

L’Occupazione

Ad oggi, vi è una significativa divergenza dei tassi di disoccupazione fra i Paesi dell’eurozona. Molteplici proposte sono state avanzate per arginare questa vera e propria piaga sociale, che rischia di compromettere lo sviluppo della persona umana e della società nel suo insieme. Alcuni di queste sostengono che la piena occupazione sia impossibile senza sovranità monetaria. Un’uscita dell’Italia dall’euro potrebbe realmente fare la differenza in quest’ambito? La letteratura economica e le analisi empiriche su dati storici non confermano pienamente questa idea, anzi, precedenti episodi di svalutazioni non sembrano aver portato aumenti sostanziali dell’occupazione e nell’esperienza di diversi paesi, come l’Italia, il tasso di disoccupazione, addirittura, è aumentato. La capacità di svalutare la propria moneta non sembra quindi comportare effetti positivi sull’occupazione e, al contrario, può determinare un peggioramento dei livelli salariali e delle prospettive di crescita.

I Conti Pubblici

Se l’Italia decidesse davvero di abbandonare la moneta unica gli effetti sui nostri conti pubblici sarebbero molteplici e immediati, con una rapida ripercussione sulla salute delle nostre banche, delle nostre imprese e delle tasche dei nostri concittadini. L’elevato livello del nostro stock di debito pubblico comporterebbe un immediato scetticismo da parte dei mercati, che presterebbero con molto più riserbo denaro all’Italia, mettendo a rischio sia il finanziamento della spesa corrente, che il pagamento dei salari pubblici e pensioni. Questo scetticismo comporterebbe anche, verosimilmente, una restrizione del credito con conseguente riduzione degli investimenti e contrazione della crescita economica. La svalutazione della nuova moneta che necessariamente accompagnerebbe l’uscita dall’Italia dall’euro poi, provocherebbe un’immediata riduzione del valore dei risparmi dei cittadini italiani. Non è quindi troppo azzardato paragonare una decisione di uscita dell’Italia dall’Euro ad un salto nel buio, un’azione dagli effetti negativi certi e gli effettivi positivi piuttosto incerti.

Le Disuguaglianze

Quando si parla di uscire dall’euro si pensa quasi sempre agli effetti aggregati per l’economia italiana nel suo complesso. Tuttavia, date le diversità esistenti tra concittadini, è importante rimarcare che gli effetti percepiti differirebbero da individuo ad individuo. L’inflazione, infatti, andrebbe ad erodere il potere di acquisto di alcune tipologie di redditi più di altre (nell’ordine, redditi da lavoro dipendente, pensioni, redditi da lavoro autonomo, redditi da capitale), ad impattare di più le fasce meno abbienti della popolazione (che, tra le altre caratteristiche, sono quelle che fanno maggiore uso di moneta contante), ed infine provocherebbe una redistribuzione di ricchezza dai creditori ai debitori non trascurabile. Allo stesso tempo, invece, la svalutazione della nuova moneta favorirebbe quelle imprese che già esportano (generalmente più produttive e localizzate al Nord) e tutte quelle aziende che fanno meno uso di materie prime e prodotti energetici. Nel complesso è quindi possibile affermare che uscire dall’euro significherebbe esacerbare le disuguaglianze che oggi esistono tra chi ha e chi non ha, in un contesto di già difficile coesione sociale.

Il Welfare

L’Italia paga a carissimo prezzo lo scotto di conti pubblici non proprio irreprensibili, con un alto debito pubblico che pesa come un macigno su ogni tentativo di aumentare la spesa pubblica. Benché a seguito di un’uscita dall’Euro l’Italia non sarebbe più soffocata dai limiti imposti dai tanto criticati Trattati europei, essa si troverebbe presto costretta ad affrontare nuovi e numerosi vincoli ancor più stringenti dettati dalla necessità di finanziamento da parte dei mercati globali, con possibili conseguenze disastrose sulla tenuta sociale. Paradossalmente, infatti, un’uscita dall’Unione Monetaria Europea, mettendo a serio rischio le finanze pubbliche italiane, potrebbe potenzialmente obbligare la classe politica dominante ad attuare quelle stesse politiche di austerity per cui viene spesso aspramente criticata l’UE. I veri perdenti di queste politiche sarebbero quasi certamente le fasce meno abbienti della popolazione, proprio quelle più bisognose di un sistema di protezione sociale e di welfare efficace.

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