Articolo pubblicato su Linkiesta

Mercoledì la Commissione ha proposto un pacchetto di misure nei confronti dello Stato ebraico per le sue azioni a Gaza. Bruxelles ha sempre preso provvedimenti di questo tipo nei confronti di tutti gli Stati i cui leader erano accusati dalla Corte penale internazionale.


Sintesi

  • L’UE ha sempre imposto sanzioni agli Stati i cui leader erano sotto mandato della Corte penale internazionale (Cpi), tranne che a Israele.
  • Israele è l’unico caso in cui un pacchetto di sanzioni UE arriverebbe dopo il mandato della Cpi, non prima.
  • Finora Bruxelles non ha portato avanti un vero regime sanzionatorio contro il governo israeliano.

Il 17 settembre la Commissione europea ha proposto un piano di sanzioni nei confronti di Israele per le sue azioni a Gaza. L’adozione delle principali misure proposte dipenderà dall’approvazione degli Stati membri all’interno del Consiglio nei prossimi giorni, con un ruolo determinante dell’Italia.  

Nel febbraio 2022, l’invasione russa dell’Ucraina portò l’Unione europea a introdurre un ampio regime di sanzioni economiche e diplomatiche. Non fu una novità: già in passato, di fronte a gravi violazioni del diritto internazionale – dal Sudan alla Libia, fino alla Costa d’avorio – Bruxelles aveva adottato misure restrittive contro governi accusati di crimini di guerra o contro l’umanità. 

Dopo gli attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre 2023, Israele ha avviato un’operazione militare di invasione nella Striscia di Gaza tuttora in corso, le cui conseguenze umanitarie sono state gravissime (tra cui, la dichiarazione ufficiale dello stato di carestia, e il numero più alto di giornalisti uccisi nella storia recente), al punto da indurre la Corte penale internazionale a emettere un mandato d’arresto per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Di recente, le azioni di governo e esercito israeliani sono state qualificate ancora più gravemente da un report indipendente commissionato dall’Onu, ossia come atti genocidari. 

A differenza dei casi precedenti, l’Unione europea non ha finora adottato sanzioni nei confronti di Israele. Questa discrepanza rispetto alla prassi consolidata solleva un interrogativo: siamo di fronte a un’eccezione storica nella politica estera europea?  

Le sanzioni internazionali sono il principale strumento non implicante l’uso della forza armata per fare pressione su uno Stato, un gruppo o degli individui che violano il diritto internazionale. Nell’ordine internazionale instaurato dopo la Seconda guerra mondiale, l’organo preposto all’adozione di sanzioni è il Consiglio di sicurezza della Nazioni unite, la cui decisione vincola tutti gli Stati dell’Onu. Il compito del Consiglio di sicurezza è di mantenere la pace e la sicurezza internazionale, quindi reagire all’uso improprio della forza armata da parte degli Stati. Questo include non solo il crimine di aggressione, ma anche le violazioni gravi del diritto umanitario e dei diritti umani nei conflitti armati. Come noto, spesso l’azione del Consiglio di sicurezza è stata bloccata dai veti incrociati dei cinque membri permanenti (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Regno Unito), ma questo non ha impedito agli altri soggetti della comunità internazionale di adottare sanzioni unilaterali. Tra questi soggetti, l’Unione europea ha sviluppato un proprio regime autonomo di sanzioni. Le sanzioni vere e proprie, che rientrano nella Politica estera e di sicurezza comune (PESC), vengono prese dai rappresentanti degli Stati membri all’unanimità all’interno del Consiglio dell’Ue, su proposta dell’Alto rappresentante per la PESC (attualmente Kaja Kallas). Tuttavia, esistono altri tipi di misure generalmente considerate sanzionatorie, come la sospensione degli accordi commerciali, che seguono procedure di approvazione non richiedenti l’unanimità. 

In cerca di un criterio oggettivo che giustifichi l’imposizione di sanzioni, Tortuga ha esaminato i regimi sanzionatori adottati dalle Nazioni unite e dall’Unione europea in tutti i casi in cui un capo di governo in carica abbia ricevuto un mandato d’arresto da parte della Corte penale internazionale. La Cpi è stata istituita nel 1998 dallo Statuto di Roma e ne fanno parte 125 Stati, tra cui tutti i 27 membri dell’Unione Europea. Il suo mandato è punire gli autori delle più gravi violazioni del diritto umanitario, che costituiscono crimini di guerra, nonché degli ancor più gravi più gravi crimini contro l’umanità e il genocidio (già definito e vietato dalla convenzione ONU per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948). Secondo l’articolo 58 dello Statuto di Roma, la Corte può emettere un mandato d’arresto quando esistano “motivi ragionevoli per ritenere” che un soggetto stia compiendo crimini di guerra, contro l’umanità o genocidio (la presenza del soggetto dinanzi alla Corte è condizione per lo svolgimento del processo penale)). Pertanto, l’esistenza di un mandato d’arresto della Cpi – organo apolitico e indipendente che si basa su evidenze giudiziarie – verso un soggetto costituisce una soglia probatoria molto elevata rispetto alla commissione di questi crimini. In altri termini, l’esistenza di un mandato d’arresto della Cpi rende ingiustificabile l’inazione da parte della comunità internazionale.  

Dei 70 mandati d’arresto inoltrati dalla Corte, cinque sono stati indirizzati a capi di governo in carica: Omar Al-Bashir (Sudan, 2009) per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio, Muammar Gheddafi (Libia, 2011) per crimini contro l’umanità, Laurent Gbagbo (Costa d’Avorio, 2011) per crimini contro l’umanità, Vladimir Putin (Russia, 2023) per crimini di guerra, Benjamin Netanyahu (Israele, 2024) per crimini di guerra e crimini contro l’umanità.  

Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha adottato regimi sanzionatori nei confronti di Al-Bashir e Gbagbo, mentre nel caso di Gheddafi, oltre ai regimi sanzionatori, il Consiglio ha autorizzato un intervento armato (UNSCR 1973/2011). Nessuna sanzione è stata comminata alla Russia, in quanto membro permanente del Consiglio di sicurezza con diritto di veto, che ha esercitato il 25 febbraio 2022 per bloccare una proposta di risoluzione del Consiglio mirata a fermare l’invasione dell’Ucraina. Nessuna sanzione è stata né proposta né tantomeno comminata nei confronti di Israele dal Consiglio di sicurezza, a causa dell’opposizione degli Stati Uniti, che il 4 giugno 2025 hanno posto il veto su una risoluzione del Consiglio che chiedeva un cessate il fuoco immediato a Gaza.  

L’Unione europea ha sempre recepito i regimi sanzionatori adottati dal Consiglio di sicurezza, affiancandovi misure autonome coerenti con il criterio proposto da Tortuga. L’Ue ha infatti imposto sanzioni a tutti gli Stati i cui leader erano accusati dalla Cpi. Inoltre, in tutti i casi esaminati i pacchetti sanzionatori dell’Ue siano sono stati varati mesi o anni prima dei mandati della Corte: quattro anni prima per il Sudan, tre mesi prima per la Libia, sette anni prima per la Costa d’Avorio, e oltre un anno prima per la Russia (nove anni se si includono le misure per la Crimea). Ciò conferma che il criterio individuato da Tortuga rappresenta una soglia minima per l’applicazione di sanzioni: nella prassi, gli Stati tendono ad agire in via preventiva, anticipando i tempi della giustizia internazionale per contenere e scoraggiare le violazioni più gravi del diritto internazionale.  

Israele rappresenta l’unico caso in cui uno Stato, il cui capo di governo è oggetto di un mandato d’arresto della Corte penale Internazionale, a cui non è sia stata comminata alcuna sanzione da parte dell’Unione europea. Finora, infatti, Bruxelles ha approvato soltanto misure individuali contro pochi cittadini israeliani (nove coloni e cinque associazioni) accusati di violenze in Cisgiordania e di ostacolare gli aiuti umanitari a Gaza. Inoltre, se un pacchetto sanzionatorio dovesse essere approvato in futuro, si tratterebbe del primo caso storico in cui le misure dell’Ue arrivano più tardi della giustizia internazionale.  

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