Articolo pubblicato per HuffPost Italia

Dopo lunghi negoziati, il Consiglio europeo è giunto a un’intesa circa la struttura del Next Generation EU Plan, approvando anche il quadro pluriennale di bilancio comunitario 2021-2027.

Si tratta di un’intesa storica, poiché vengono messi a disposizione del piano di rilancio 750 miliardi di euro, finanziati con l’emissione di Eurobond. E proprio qui si impernia la rilevanza dell’intesa, poiché con tale accordo viene segnato l’esordio di una forma di mutualizzazione di debito tra i paesi membri, a trattati invariati. Fino a qualche mese fa, l’ipotesi di poter fare debito europeo per sostenere direttamente la domanda aggregata di stati in difficoltà congiunturale era quasi inimmaginabile.

Durante il summit di Bruxelles si sono riuscite infatti a vincere le reticenze dei paesi del Nord, che storicamente temono un uso irresponsabile delle risorse da parte dei partner mediterranei. La mancanza di fiducia è stata finalmente superata – in un compromesso che pur include sconti per i paesi frugali (i cosiddetti rebates) e condizionalità – e avremo un trasferimento netto di risorse dal Nord al Sud dell’Unione per dare una risposta comunitaria alla crisi,

La mancanza di una visione unitaria

Tuttavia, a nostro avviso, non è tutto oro quel che luccica. Durante l’ultimo Consiglio, la cosa che forse più è mancata è stata una visione unitaria di Europa. Alla vigilia dei negoziati ogni paese ha assunto posizioni estreme per poi poter bilanciare le contrattazioni, lasciando l’arduo compito di mediazione ai vertici comunitari per il raggiungimento di un compromesso finale volto a far sì che non ci fossero perdite di consenso elettorale per nessuna delle controparti.

A risentirne di più è stato il documento di bilancio comunitario finale, in quanto la riduzione delle sovvenzioni si è concentrata su programmi che avrebbero finanziato beni pubblici realmente europei.

I tagli ai fondi di ripresa destinati ai programmi UE risultano così distribuiti: 

  1. HorizonEU (il programma per promuovere la ricerca scientifica in Europa) è stato tagliato del 62%;
  2. InvestEU (programma per sostenere gli investimenti strategici) ha subìto una riduzione superiore all′80%;
  3. Just Transition Fund (il programma per supportare la decarbonizzazione in modo equo tra i paesi) è stato ridotto di due terzi;
  4. Il programma Eu4Health è stato interamente rimosso;
  5. Il fondo per la ricapitalizzazione di imprese in difficoltà è stato azzerato.

L’Unione Europea non riesce ancora ad adottare una visione strategica su quelle che dovrebbero esser tre priorità a livello unitario: ricerca, clima e salute. In sostanza, i punti chiave del programma della Commissione Von Der Leyen per un’Unione più ambiziosa (Green Deal, digitale, supporto alle Pmi in difficoltà, ricerca esplorativa e innovazione pionieristica) sono stati ridimensionati a favore delle politiche più tradizionali.   

MES – Conviene ancora?

Sulla base dell’intesa europea, all’Italia vengono offerti 208,8 miliardi (81,4 tramite sussidi a fondo perduto e 127,4 di prestiti), corrispondenti al 12% del reddito nazionale del 2020. A fronte di una modesta riduzione della quota di grants, l’Italia è riuscita a ottenere 36 miliardi di prestiti in più rispetto alle previsioni della Commissione, una cifra corrispondente alla linea di credito offerta dal MES.

Ma, quasi per paradosso, il Recovery Fund avrà più condizioni e vincoli del Fondo Salva Stati. Innanzitutto, la linea di credito del MES può esser attivata immediatamente, mentre per il Recovery Fund dovremo attendere la seconda metà del 2021 e i fondi saranno dilazionati in più tranches, sulla base dei risultati raggiunti dalle riforme strutturali programmate.   

Inoltre, come riporta il punto 19 dell’accordo sul Recovery Fund, i piani per la ripresa e la resilienza sono valutati dalla Commissione entro due mesi dalla presentazione e prima dell’elargizione della prima tranche sarà stilata una pagella in cui il punteggio più alto verrà assegnato per la coerenza con le raccomandazioni specifiche per paese. L’accordo specifica anche che sarà tenuto conto del rafforzamento del potenziale di crescita e della creazione di posti di lavoro.

In più, la valutazione dei piani nazionali dovrà essere approvata dal Consiglio a maggioranza qualificata su proposta della Commissione. Tuttavia, qualora non ci sia un soddisfacente conseguimento degli obiettivi intermedi e finali l’EcoFin potrà non approvare pagamenti fino a quando non avrà discusso la questione in maniera esaustiva. Inoltre, occorre sottolineare la rilevanza delle condizioni sull’utilizzo dei fondi. Le risorse del NextGenEU dovranno essere impiegate esclusivamente per spesa in conto capitale (piani di riforma) mentre le linee di credito del MES possono essere utilizzate direttamente per spesa corrente (mettere a norma gli ambienti scolastici e di lavoro, ad esempio).

Ora che le risorse di NextGenEU sono disponibili, potrebbe sembrare superfluo il MES; la recente riduzione dei tassi di interesse sui Btp, inoltre, rende il risparmio portato dall’attivazione del Fondo Salva Stati marginale. Tuttavia, va ricordato che le risorse del MES sarebbero disponibili immediatamente, e senza i vincoli legati ai futuri fondi del Recovery Fund. La convenienza del MES va definita in termini di rapidità e condizionalità, criteri per cui rappresenta ancora uno strumento importante ed efficace a nostra disposizione.

La grande responsabilità di fare riforme

Si tratta quindi di un trasferimento netto di risorse, e con loro arriva anche la responsabilità di investirle in maniera adeguata: è ovvio che l’ammontare di fondi di cui sarà possibile beneficiare in concreto dipenderà dalla capacità di proporre riforme e progetti di investimento validi. Se i punti per un’Unione più ambiziosa sono stati ridimensionati nel corso delle ardue trattative a Bruxelles, ciò non impedisce alle singole capitali di perseguire gli stessi ambiziosi obiettivi.

L’attuale governo non può sbagliare colpo: i 127 miliardi di prestiti elargiti tra metà 2021 fino al 2024 (di cui il 70% entro il 2022) dovranno esser restituiti a partire dal 2026. Le riforme dovranno esser in grado di supportare una crescita sostanziale del Pil, con un incremento dei consumi interni e delle entrate dello Stato. Se non produrremo crescita, restituiremo fino all’ultimo euro non solo i prestiti ma anche i contributi a fondo perduto, sotto forma di imposte o di inflazione.

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