Articolo pubblicato per Il Foglio

Un rischio di cui si parla molto poco ma che potrebbe tornare centrale nei prossimi mesi e anni. Il Covid-19 è l’occasione perfetta per imparare dagli errori del passato

Nell’ultimo decennio sono ormai molte le occasioni in cui ci siamo trovati a dover commentare la fragilità dei conti pubblici italiani. Due esempi su tutti sono le crisi del 2008 e del 2012. Abbiamo poi vissuto alcuni anni relativamente positivi: crescita latente, ma sopra lo zero. Ancora una volta, all’arrivo dell’inesorabile shock, il bilancio pubblico si è fatto trovare impreparato. Il coronavirus sarebbe proprio l’esempio da libro di testo di un contesto in cui un paese deve sostenere domanda e offerta, cercando, nella misura più efficiente possibile, di assorbire le perdite. Purtroppo però, l’Italia ha il terzo debito pubblico più elevato al mondo, una popolazione che invecchia, una spesa pensionistica enorme e, soprattutto, performance di crescita molto negative nel recente passato. Per questi motivi non siamo in grado di chiedere a prestito in autonomia le risorse di cui necessiteremmo. 

Al momento la nostra ancora di salvezza è la Bce. Secondo il Def avremo bisogno di emettere circa 476 miliardi in titoli di stato nel 2020, in parte per finanziare l’ingente deficit e in parte per rifinanziare debiti in scadenza. Di questi, l’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani stima che circa 245 saranno acquistati dalla Bce grazie ai quattro programmi di quantitative easing messi in atto negli ultimi anni e ancora in funzione. Questa stima considera anche il recente incremento di acquisti per 600 miliardi stabilito per il Pepp (nuova linea di acquisti per contrastare gli effetti del Covid-19). Altre risorse arriveranno già quest’anno peraltro da altri programmi di aiuto europei come lo Sure e, se decidessimo di utilizzarlo, la linea di credito del Mes per far fronte alle spese sanitarie per 36 miliardi. Nonostante ciò, a fine aprile, Fitch – nota società di rating –  ha deciso per il downgrade italiano dovuto al deteriorarsi della situazione dei conti pubblici italiani. Nonostante ciò, le tensioni sembrano lontane grazie alla solidarietà europea. Esiste però una variabile che potrebbe scombinare i nostri piani e rendere molto più urgente la necessità di un consolidamento fiscale: l’inflazione. Al momento l’inflazione è in calo. Il coronavirus, che ha colpito direttamente l’offerta, sembra aver avuto una ricaduta ancora maggiore sulla domanda a causa della caduta dei redditi. Ciò giustificherebbe un rallentamento persistente dell’inflazione confermato anche dagli indici sulle aspettative di inflazione che sono al momento in calo. 

Esiste però uno scenario in cui l’inflazione potrebbe tornare ad aumentare velocemente. È  uno scenario immaginato da molti economisti (come Blanchard e Pastor) e alcune istituzioni, come Deutsche Bank. Con una progressiva apertura dei paesi di tutto il mondo, le persone torneranno a spendere, come sempre avviene in un contesto di ripresa economica. Le aziende invece potrebbero subire un aumento dei costi dovuti alle regole di distanziamento sociale e a causa dell’atteso ridimensionamento delle catene globali del valore. Gli ultimi tasselli del puzzle sono gli ingenti deficit pubblici che aumenteranno notevolmente la domanda aggregata e l’ammontare senza precedenti di liquidità che le banche centrali stanno riversando nell’economia. Tutti questi fattori andrebbero nella direzione di una futura pressione al rialzo dei prezzi. 

I paesi accumuleranno inoltre un’ingente quantità di debito che andrà in futuro riassorbita. Ciò può essere fatto essenzialmente in tre modi: aumenti di tasse, tagli alla spesa e inflazione. I primi due potrebbero essere meno elettoralmente accettabili e meno equi da un punto di vista intergenerazionale (il costo dei lockdown subito dai giovani a beneficio degli anziani sarebbe in parte compensato dall’inflazione che colpisce in misura maggiore le rendite finanziarie, tipiche dell’età avanzata). Molti paesi potrebbero invece puntare su un periodo di inflazione relativamente elevata che consente di alleggerire il costo di servizio del debito. La Germania, nel recente pacchetto espansivo per contrastare la recessione, ha previsto alcune misure che hanno il preciso scopo di aumentare le aspettative di inflazione (in modo particolare la riduzione temporanea dell’Iva). Se l’inflazione dovesse effettivamente aumentare e rimanesse su livelli relativamente contenuti (3-4%), ma sopra le attese, ciò potrebbe beneficiare anche l’Italia. Ma in maniera contestuale aumenterebbe progressivamente la necessità di un intervento da parte della Bce (per statuto molto attenta alle dinamiche dei prezzi), in modo da evitare la percezione di una forma di “dominanza fiscale”: una situazione in cui la politica fiscale domina le scelte di politica monetaria e l’inflazione aumenta senza controllo.  

Un intervento della Bce si sostanzierebbe nella vendita di titoli di debito pubblico acquistati in questi anni. In particolare la Bce si troverebbe a rivendere un’enorme quantità di debito italiano causando un aumento dell’offerta e una possibile esplosione dei rendimenti. Siamo infatti il paese che maggiormente sta beneficiando dal nuovo programma di acquisti della Bce, con un ammontare di titoli acquisiti che eccede il limite massimo imposto dai trattati europei del 27%, il cosiddetto “capital key”. 

La sola esistenza, per quanto con una probabilità ridotta, di un tale scenario dovrebbe farci riflettere sulle nostre scelte di politica economia. Oggi sembra a tutti passato un secolo, ma solo un anno fa si decideva che la priorità di questo paese fosse ridurre l’età di pensionamento aumentando la spesa pensionistica con quota 100. Il Covid-19 è l’occasione perfetta per tutti noi per imparare dagli errori del passato. La sostenibilità dei conti pubblici per affrontare situazioni drammatiche come quella che stiamo vivendo deve sempre rimanere in cima alle priorità, altrimenti continueremo a fare gli stessi errori del passato e consumeremo risorse non nostre, risorse che appartengono alle future generazioni e che loro prima o poi si troveranno a dover ripagare. Noi millennials ne sappiamo qualcosa, ascoltateci. 

Think tank Tortuga 

(a cura del socio Andrea Gorga) 

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