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Durante la crisi le scuole paritarie sono tornate al centro del dibattito pubblico: molte di esse, con le conseguenze economiche del Covid-19, sono a rischio di non riaprire per il prossimo anno scolastico.

Al di là della risposta emergenziale, potrebbe essere questa l’occasione per risolvere definitivamente la questione, tutta italiana, del ruolo delle scuole paritarie nel sistema educativo nazionale.

Le scuole paritarie contribuiscono, infatti, all’istruzione di una parte importante del paese. Secondo i dati Istat del 2018, gli studenti iscritti sono circa il 9% del totale. Di questi, più della metà frequenta scuole cattoliche. Ma cos’è una scuola paritaria? Le scuole paritarie, secondo la legge 62/2000, sono istituti non direttamente gestiti dallo Stato, ma da altri enti. Non soltanto istituzioni private o religiose, ma anche enti locali, come i comuni. Si differenziano dalle scuole private propriamente dette perché le paritarie svolgono un servizio pubblico.

Questi istituti hanno, infatti, l’obbligo di accogliere chiunque condivida il loro piano educativo, e sono abilitati a rilasciare titoli di studio con lo stesso valore di quelli delle scuole statali.

L’Italia si trova tra i paesi sviluppati meno virtuosi per quanto riguarda l’istruzione. Senza considerare università e scuola dell’infanzia, nel 2015 l’Italia spendeva il 2,78% del Pil in istruzione, a fronte di una media Ocse del 3,15%. Una parte di questa differenza potrebbe essere spiegata dal risparmio che gli istituti paritari garantiscono allo Stato italiano, quando numerosi altri paesi investono parte del proprio Pil anche nelle scuole paritarie.

Le famiglie che iscrivono figli agli istituti paritari, e gli istituti stessi, si fanno carico di una spesa che è, per definizione, pubblica. A quanto ammonta il risparmio? Secondo il Miur, il costo medio per studente è di 6.568 euro le scuole dell’infanzia, 7.260 per le scuole primarie e 8.360 per le scuole secondarie. Tenendo in considerazione il numero di iscritti, e al netto del contributo di 500 milioni di euro l’anno alle paritarie, il risparmio per lo Stato è di 5 miliardi di euro ogni anno. Tale cifra non copre neppure gli asili nido, settore in cui gli istituti paritari sono circa la metà del totale. I posti per i bambini 0-2 anni sono, infatti, 322 mila in Italia, di cui 155 mila in scuole paritarie a gestioni diversa da quella comunale. La percentuale raggiunge quasi il 60% in regioni come Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Puglia.

Oltre ai contributi erogati annualmente dallo Stato, oggi in Italia sono almeno sei regioni a prevedere un voucher per le scuole paritarie (Friuli-Venezia GiuliaLombardiaLiguriaPiemonteToscana e Veneto). Si tratta di un “buono” con cui ogni famiglia può pagare la retta per la scuola paritaria. In Italia, nel quadriennio 2014-2018, la quota di studenti iscritti in una scuola paritaria è leggermente diminuita, dal 9,3% all’8,8%.

La stessa tendenza si riscontra omogeneamente su tutto il territorio nazionale, a prescindere dall’adozione di queste misure regionali. Queste misure evidentemente non hanno fino a ora modificato drasticamente le scelte educative delle famiglie. Forse non sono neppure lo strumento più utile per farlo. E neppure può essere abbastanza la detrazione al 19% delle spese d’istruzione fino a 800 euro, prevista sia per le scuole statali che per le paritarie. Allargando lo sguardo all’Europa, infatti, molti sistemi d’istruzione contribuiscono direttamente ai costi delle scuole paritarie, a differenza di quanto accade in Italia. In Francia, Spagna e Germania, ad esempio, lo stato stesso sostiene i costi legati al personale e, spesso, contribuisce alle altre spese delle scuole non statali.

È evidente, dunque, che molte famiglie italiane si facciano carico di spese notevoli, a differenza delle loro omologhe europee. Quali sono queste famiglie?  Contrariamente al sentire comune, guardando ai dati del 2013, queste famiglie non sono soltanto l’espressione più benestante del paese: secondo Istat, una famiglia su tre rientra nella fascia di reddito fino a 15 mila euro e soltanto una su cinque supera i 55 mila euro.

C’è un concreto rischio che la crisi economica dettata dal coronavirus impedisca a molte scuole paritarie di riaprire. A oggi, infatti, molte famiglie hanno smesso di pagare le rette. Se anche solo un terzo degli iscritti alle paritarie si dovesse iscrivere alla scuola statale a settembre, come sostengono i rappresentanti delle scuole paritarie, più di 200 mila studenti si riverserebbero in un sistema già a corto di risorse, umane e materiali. La qualità ne risentirebbe. Supportare le paritarie diventa così un tema di salvaguardia della scuola statale, un peso che non può essere sostenuto dalle sole famiglie.

Questa crisi potrebbe essere, forse, l’occasione giusta per risolvere una volta per tutte la questione delle scuole paritarie, riconoscendone sia i doveri che i diritti. Gli esempi di altri paesi europei, spesso meno “religiosi” dell’Italia, dimostrano che la scuola paritaria svolge un ruolo fondamentale in ogni sistema educativo. Istituti con storia, esperienza, capitale umano e relazionale, ma anche personale, docente e non, spazi, aule e materiali già pronti all’uso.

La previsione di una detrazione, ovvero la riduzione dell’ammontare delle imposte pagate dalla famiglia con figlio alla paritaria, pari al 50% delle spese per la retta, potrebbe essere una soluzione più equa dell’attuale sistema.

L’importo massimo detraibile, invece degli attuali 800 euro, potrebbe essere calcolato come la metà del costo medio per studente. I primi 800 euro, come accade già oggi, per tutte le spese d’istruzione. Da 800 al limite massimo per le sole rette, di scuole statali o paritarie. Il costo per lo Stato sarebbe al massimo di un miliardo e mezzo di euro di euro l’anno, considerando gli iscritti attuali.

Se si uscisse dalla dicotomia scuola pubblica versus paritaria, queste risorse potrebbero essere mobilitate per supportare il sistema educativo nazionale. Investire nella scuola non dovrebbe implicare un gioco a somma zero. Investire in una scuola pubblica e di tutti è una questione di opportunità.

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