Articolo pubblicato su Aula di scienze (Zanichelli)

Chi è nato in Europa dopo il 2000 utilizza da sempre l’euro, ma c’è chi vorrebbe tornare alle valute nazionali, come la lira


Sintesi

  • Con il passaggio dalla lira all’euro, il mito dei “prezzi raddoppiati” si è radicato nel dibattito pubblico, suscitando sfiducia verso la moneta unica.
  • Con l’introduzione di banconote e monete in euro, si è registrato un divario crescente tra inflazione percepita e misurata.
  • Il raddoppio dei prezzi causati dall’ingresso nell’euro è un falso mito: gli aumenti del prezzo di alcuni beni o servizi sono stati compensati dalla diminuzione dei prezzi di tanti altri prodotti.

Fino agli anni ‘90, ogni Stato europeo aveva la propria valuta, per cui era necessario cambiare moneta per viaggiare o fare affari oltre confine. Ma l’obiettivo di un mercato unico europeo richiedeva qualcosa di più: un sistema monetario condiviso che eliminasse barriere e rendesse gli scambi più semplici. Fu così che, con il Trattato di Maastricht del 1992, si posero le basi per una trasformazione epocale: la nascita dell’euro. Una valuta comune che avrebbe semplificato la vita di milioni di persone e imprese, segnando un nuovo capitolo della storia europea. 

Oltre ai motivi pratici, l’introduzione dell’euro aveva anche ragioni che si fondavano sulla teoria economica: favorire la stabilità economica e monetaria dell’Unione. Questa stabilità era garantita da una Banca Centrale Europea indipendente e da regole fiscali precise, volte a evitare rischi per il mercato unico. Numerosi studi empirici successivi hanno confermato questo: l’euro ha garantito tassi di interesse più bassi, facilitando il finanziamento del debito pubblico e privato.  

Politicamente, è stato un passo cruciale verso una maggiore integrazione europea, perché ha rafforzato la cooperazione tra gli Stati membri e ha aggiunto un nuovo tassello all’identità europea. Anche il nome e il simbolo sono stati scelti in modo condiviso, come si può leggere sul sito dell’Unione EuropeaIl nome “euro” è stato scelto dal Consiglio europeo di Madrid del 1995. Il simbolo dell’euro (€) si ispira alla lettera greca epsilon (Є) e rappresenta inoltre la prima lettera della parola “Europa”, mentre le due barrette parallele stanno a significare stabilità.

La conversione dalla lira all’euro

I primi paesi ad aderire all’euro sono stati Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, che fino a quel momento adottavano scellino, franco, marco, sterlina, lira, fiorino, escudo e peseta. Per valuta nazionale è stato definito il corrispettivo in euro secondo il tasso di cambio. Il tasso di cambio è il prezzo di una moneta (quella nazionale), relativamente a un’altra (l’euro). Questo valore, tranne in casi particolari, oscilla liberamente e rispecchia gli equilibri tra le economie dei paesi che coniano e utilizzano le due monete. Secondo gli accordi per la transizione all’euro, i tassi di cambio tra le valute nazionali e la moneta unica si sono basati sui tassi di cambio al 31 dicembre 1998. Secondo questi tassi di cambio, 1 euro valeva 1936,27 lire italiane, al pari di 40,34 franchi belgi, 1,96 marchi tedeschi, 166,39 peseta spagnole e così via per tutti i 12 stati membri dell’epoca. 

Così, dal 1999 l’euro viene usato sui mercati finanziari e a partire dal 1° gennaio 2002, è entrato a far parte della vita quotidiana di tutti i cittadini italiani. Per qualche mese, fino al marzo 2002, in Italia la lira e l’euro circolarono in parallelo, per permettere una transizione meno brusca. Per qualche mese i cittadini potevano acquistare i prodotti sia in lire, sia in euro e i negozi dovevano esporre i prezzi dei prodotti in entrambe le valute, in modo che i consumatori si abituassero alla conversione.

Il falso mito del raddoppio dei prezzi

Si sente spesso dire che con l’introduzione dell’euro i prezzi siano duplicati, basti pensare al classico aneddoto del caffè il cui prezzo sarebbe aumentato da 1000 lire a 1 euro, un vero e proprio raddoppio. Tuttavia, le statistiche mostrano una realtà differente: l’inflazione nel 2002 è stata del 2,5%, un dato relativamente basso se si pensa che tra il 1991 e il 2001 l’inflazione annua era stata in media del 3,4%. Si può sfatare questo mito anche attraverso un esperimento mentale: se davvero i prezzi fossero raddoppiati, mentre gli stipendi rimanevano invariati, gli italiani avrebbero dovuto dimezzare i loro acquisti. Tuttavia, il mito dei “prezzi raddoppiati” si è radicato nel dibattito pubblico, alimentando slogan politici sull’impoverimento della popolazione e suscitando sfiducia verso la moneta unica.

La Commissione Europea conduce regolarmente sondaggi sulla fiducia e i comportamenti dei consumatori nei paesi dell’Unione, raccogliendo dati che vengono aggregati a livello nazionale. Tra gli indicatori generati, uno misura la percezione dei prezzi negli ultimi dodici mesi e le aspettative per i successivi. Questo dato qualitativo non stima direttamente l’inflazione ma rileva la percentuale di persone che percepiscono un’inflazione “alta”. Sebbene abbia una valenza economica limitata, questo dato permette di analizzare la percezione sull’andamento dell’inflazione. 

Fino all’introduzione dell’euro, la percezione dell’inflazione in Italia era allineata ai dati misurati. Tuttavia, a partire dal 1999, con il congelamento dei tassi di cambio, e soprattutto dal 2002, con l’introduzione di banconote e monete in euro, si è registrato un divario crescente tra inflazione percepita e misurata. Questo fenomeno, inesistente ai tempi della lira, riflette un aumento della sensazione diffusa di prezzi in continuo aumento dopo la conversione. Questa tendenza si è verificata anche in altri paesi europei. Resta da chiedersi: come mai è avvenuto? 

Una spiegazione potrebbe stare nel fatto che, per semplicità, in Italia le persone si limitavano a moltiplicare per due nel convertire mentalmente i prezzi da euro a lire; ad esempio, convertendo 1 euro in 2.000 lire anziché 1.936,27 con un errore del 3,3%. Ecco che, sommando questo errore all’inflazione del 2,5% misurata dall’ISTAT otteniamo un’inflazione percepita del 6,8%, ben lontana da un raddoppio dei prezzi ma molto più alta dell’inflazione del 3,4% a cui gli italiani si erano abituati negli anni precedenti. 

Un secondo modo per spiegare questa percezione potrebbe essere l’aumento dei prezzi di prodotti che gli italiani acquistano più spesso. Per esempio, tra febbraio 2001 e febbraio 2002 le patate sono state il bene che ha registrato l’aumento di prezzo maggiore: 30,5% in un anno. Nonostante la spesa per le patate rappresentasse solo lo 0,28% degli acquisti, è possibile che gli italiani ne abbiano notato maggiormente l’aumento di prezzo poiché esse sono un prodotto che acquistano frequentemente. Al contrario, il prodotto che ha registrato la riduzione di prezzo maggiore sono state le attrezzature informatiche, il cui prezzo è diminuito del 14,7% da gennaio 2001 a gennaio 2002. All’epoca, però, il numero di persone che acquistava attrezzature informatiche era decisamente minore e dunque è possibile che le persone abbiano notato molto di più l’aumento del prezzo del primo prodotto rispetto al secondo.

Se estendiamo questo ragionamento a tutti gli acquisti ad alta e bassa frequenza, possiamo spiegare come mai l’inflazione percepita sia stata così diversa rispetto a quella reale. 

Tra percezione e realtà

Il raddoppio dei prezzi causati dall’ingresso nell’euro è dunque un luogo comune che va respinto. Non c’è stato nessun raddoppio generale dei prezzi dovuto all’introduzione dell’euro, né in Italia, né negli altri paesi che hanno adottato la moneta unica. Tuttavia, i dati indicano anche che certi beni e servizi hanno subito un forte aumento di prezzo in concomitanza della transizione da lira a euro. Questi aumenti sono stati però compensati dalla diminuzione dei prezzi di tanti altri prodotti, che hanno portato l’inflazione totale al 2,5%.  

Oggi non ha più senso confrontarli con i vecchi prezzi in lire. Innanzitutto, perché il tasso di cambio non sarebbe rimasto fisso a quello deciso a fine 1998; la vecchia lira, infatti, era soggetta e profonde e frequenti variazioni che causavano una svalutazione rispetto alle altre valute come il dollaro statunitense, il marco tedesco e il franco francese. In secondo luogo, bisogna tenere conto dell’inflazione, che con la lira sarebbe stata probabilmente maggiore perché la moneta era legata a un’economia più debole, così come negli anni precedenti all’introduzione dell’euro. 

Ai 12 paesi che fin dall’inizio hanno aderito alla moneta unica, negli anni successivi se ne sono aggiunti altri 8: Grecia, Slovenia, Cipro, Malta, Slovacchia, Estonia, Lettonia, Lituania e Croazia, entrata nel 2023. Altri stati, tra cui Bulgaria, Repubblica ceca, Polonia e Romania, stanno seguendo i passi necessari per adeguarsi alle regole e ai parametri dell’Unione Europea per entrare nella moneta unica nei prossimi anni.

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